Nicola Di Ceglie

CARI COMPAGNI

Nicola Di Ceglie

C’era una volta, in Italia, il quinto operatore mondiale della telefonia che si chiamava Telecom e produceva ricchezza, sviluppo, ricerca tecnologica. Ora mordiamoci le dita dalla rabbia. Quindici anni fa, Telecom era un’impresa capace, credibile e affidabile. Telecom dava una sufficiente riscossa sociale ai dipendenti, molti privilegi ai dirigenti, e (purtroppo) larghi profitti agli speculatori repellenti. In fondo in fondo quell’equilibrio aziendale andava corretto e disciplinato, ma non era pericoloso; molte volte la Telecom era riuscita a battere, in volata, i concorrenti stranieri.

Quella storia è finita, irripetibile. Oggi la Telecom è kaputtgemacht! direbbe la cancelliera. Ha 28 miliardi di indebitamento e chi l’ha diretta finora ha la faccia tosta di affermare che in questo dannato momento bisogna prendere tre decisioni. Sentite quali sono: 1) Vendere gli asset migliori che la Telecom ha all’estero. 2) Non dare i dividendi sulle azioni ordinarie possedute dai piccoli azionisti. 3) Pagare la cedola del 6,125% alle banche che hanno garantito l’ultimo, insufficiente aumento di capitale sociale. Per dirla con linguaggio non ministeriale, la Telecom vuole vendersi i gioielli, licenziare un bel po’ di personale e con questi ipocriti guadagni garantire solamente le banche. Volete qualche indicazione più precisa?

Gli attuali dirigenti renitenti hanno iniziato a vendere la ‘TIM Argentina’, perché nell’ultimo anno ha ottenuto un ‘aumento’ dei profitti del 24%. Vorrebbero cedere le torri e gli immobili di proprietà, così si potranno pagare più facilmente gli elevati canoni di locazione, che daranno tanto benessere agli amici. Infine il CDA aumenterà l’indebitamento aziendale con un ‘bond convertibile’ a tassi elevati che farà guadagnare tanti soldi alle banche che gestiranno l’operazione. ‘Convertendi’, ‘rating’, ‘dismissioni’…leggendo queste aspre parole del capitalismo killer, il nostro carattere perde la dolcezza. Proviamo a recuperare un poco di lucidità, prima che l’ira faccia peggiorare le nostre reazioni sindacali. I latini dicevano ‘Melius est abundare quam deficere’. Noi giriamo pari pari questa citazione ai nuovi padroni di ‘Telefonica’ e gli diamo un suggerimento: guardate, signori del ‘cupio dissolvi’ che quel vecchio motto finora è stato inteso male. ‘Melius est abundare’ deve valere solamente per le cose buone, non per le cattive. Dunque, teniamoci la ‘TIM Argentina’ che produce tanta ricchezza e vendiamo la ‘TIM Brasil’ che sarà dismessa certamente dall’antitrust brasiliano, perché è diventata monopolista. Egregi signori di ‘Telefonica’, invece di dire chiacchiere al vento, assumete in azienda giovani creativi e vitali, finanziate la ricerca per ottenere il migliore balzo in avanti nell’agenda digitale, chiedete al Governo un sostegno ragionevole alle vostre imprese internazionali. Volete smembrare la Telecom, come si fa con il maiale, e vendere il suo corpo a pezzi? Bene, sappiate che il sindacato vi picchierà sulle mani e vi farà molto male. Parlate di ‘asset’, riempendovi la bocca di un lessico economicistico che sottende al profitto e allo sfruttamento. Noi usiamo un altro vocabolario: il primo ‘asset’ nel sistema produttivo è il lavoro, anzi i lavoratori che devono vivere felici, realizzati, assistiti, educati, amati nelle loro famiglie. Se avete appetito di denari sporchi, fatevelo passare.

Nicola Di Ceglie