CALL CENTER, IN AFRICA È LA STESSA COSA

di Francesco Monteleone

A gennaio, quando noi italiani dobbiamo sopportare e superare i pericoli del freddo e della neve, a Tozeur, l’ultima oasi tunisina prima del deserto del Sahara, è alta stagione turistica. La ragione è facile da spiegare; attorno alle meravigliose dune gialle del deserto che occupa il 40% del territorio tunisino, quando fa caldo, si arriva a 50 gradi all’ombra e i turisti invece di rilassarsi, devono correre ai ripari, per non rimanere secchi e abbrustoliti.

Perciò, adesso che l’aria è più fresca (14-18° di media) il governatore della provincia di Tozeur ha organizzato Dal 17 al 20 gennaio la 38° edizione del Festival Internazionale delle Oasi di Tozeur e noi ci siamo andati come inviati.

In quell’angolo di mondo esotico si coltivano datteri favolosi, si mangia la carne di cammello, il vino è buono e costoso, i superalcolici sono costosissimi, il calcio è lo sport nazionale, la tv italiana è seguita dal 1954, le donne non hanno lo chador (e tantomeno il burqa) e si più viaggiare a 100 all’ora su un gigantesco lago salato che cambia colore in continuazione.

Nel Festival delle Oasi abbiamo incontrato molti artisti stranieri, ma anche persone del posto, per esempio Michel Joufir, sposato a una pittrice molto considerata, il quale ha fondato e gestisce la Datascope, una società di call center, attiva in Tunisia nel 1980. Così ne abbiamo approfittato per raffrontare i suoi problemi con i nostri…

–         Michel, il customer service è un settore economico importante per voi?

–         In Tunisia ci sono circa 20 mila persone che lavorano nei call center; parlano italiano, francese, inglese e hanno una paga media attorno ai 350 euri.

–         Non è molto alto lo stipendio!

–         Non è nemmeno uno stipendio da fame. Non devi fare paragoni con le vostre paghe. Noi abbiamo un tenore di vita più basso del vostro.

–         Dove trovi gli operatori?

–          La Tunisia ha una popolazione molto giovane, c’è una grossa disoccupazione giovanile, non dovrebbe essere difficile avere mano d’opera, eppure ti dico che non è per niente facile trovare ragazzi disposti a fare questo tipo di lavoro. Sono giorni che cerco una cinquantina di persone da assumere subito e nonostante tutto ancora non li trovo.

–         Sai perché?

–         Mah! I giovani preferiscono stare al bar… (mi dice con un’istintiva semplificazione derivante dalla sua delusione)

–         Forse lavorare in un call center non è il massimo delle loro aspirazioni!

–         È vero. I giovani tunisini sognano tutti di andare via; il nostro governo, dopo la rivoluzione del 2011, non ha mai pensato a progetti realmente utili per il loro futuro.

–         Michel, preferisci assumere gli uomini o le donne?

–         Le donne sono più adatte al call center; sono più durature nel tempo.

–         Qui in Tunisia le donne fanno molti figli. Non ti pesa la loro assenza lavorativa quando si mettono in maternità?

–         Non mi pesa per niente. Le mamme novelle le rimpiazzo volentieri e senza problemi

–         Esprimi un desiderio…

–         Vorrei una politica governativa di sostegno alla nostra categoria. Lavorare in un call center in Tunisia non è il peggiore dei lavori, rispetto alla campagna, all’artigianato classico o ai lavori legati al turismo che peraltro sta subendo una crisi gigantesca. Certo, non si diventa milionari nelle nostre strutture, ma un minimo di reddito riusciamo a garantirlo a chi ha voglia di fare qualcosa.

–         A Tozeur sei venuto a cercare dipendenti?

–         Ho accompagnato mia moglie che espone i suoi quadri, ma ti confesso che sto cercando ragazzi da assumere e finora non ne ho trovato nessuno… E ora rispondimi tu: in Italia com’è la situazione dei call center?

–         Te lo dico quando tornerò a trovarti a Tunisi…

Francesco Monteleone