A CINEMA C’È POCO DA RIDERE

Nicola Di Ceglie

Nicola Di Ceglie

Care compagne e cari compagni,
mentre tutti i social network e le testate giornalistiche sono impegnati a inneggiare un comico che condividerà con il suo produttore qualche milione di euro, mi è capitato di leggere che ‘le ruspe abbatteranno il cinema Armenise’ di Bari, una notizia contenente la stessa intensità emotiva che procurò la distruzione di Mosul da parte dei vigliacchi mercenari dell’Isis. Orbene quel vecchio cinema di quartiere forse non rende più abbastanza per giustificare la sua esistenza e quindi avrà lo stesso destino di tanti luoghi storici che a Napoli, Milano, Torino ecc. che sono stati convertiti ad altre attività. Oppure lo stesso gestore (che sta per aprire una modernissima multisala alla Fiera del Levante) non ha più il tempo e la forza di difendere l’inconfondibile struttura di quartiere che porta il suo nome.
Certamente questa stupida economia ci ha persuasi che per risparmiare sugli insostenibili costi di gestione ‘i grandi devono mangiarsi i piccoli’. Cazzate divulgate da predatori che non hanno rispetto di niente e di nessuno, grazie alle quali stanno scomparendo tantissime piccole cose che sono stati utili e care ai nostri genitori e in parte a noi stessi.
Faccio una divagazione nostalgica (ma evitate di prendere i fazzolettini per commuovervi):
un paio di giorni fa sono entrato in una piccola merceria che non ha nemmeno l’insegna all’esterno. Sembrava un posto dimesso e non lo avevo mai frequentato; ebbene quel buco era un universo di oggetti graziosi e profumati che mi hanno risvegliato la memoria, come les petites madelaine di Marcel Proust: pigiami celestiali, maglie di lana, calzini, sciarpette… tutto era ottimo, economico e il proprietario era simpaticissimo. Allora ho capito la profonda differenza con quelle maledette iperstrutture, piene di scaffali e merce falsamente a basso costo, dove non ci sono nemmeno i commessi per dirti quanti numeri bisogna aggiungere alle taglie americane.
E ora torniamo ai cinema di quartiere, tipo lo Splendor del prof. Fraccalvieri: se dovesse spegnersi quell’ insegna luminosa che da decenni indica un luogo di aggregazione culturale ‘straordinaria’ cosa succederà? I maturi cinefili di Carrassi e Picone che vanno a piedi a godersi il cinema d’essai certamente non prenderanno i bus cittadini (sic!) per andare all’ABC o al ‘Piccolo’ di Santo Spirito.
I cinemini stanno chiudendo perché con il cambio lira-euro i costi sono raddoppiati e i prezzi sono rimasti gli stessi, anzi con tutte le convenzioni il costo medio del biglietto è di 5 euro.
Come si possono aiutare gli esercenti indipendenti? Dopo averli consultati qualche idea ci sarebbe: le tasse sono da dimezzare. L’insegna luminosa procura una tassa di occupazione di suolo pubblico assurda che invece potrebbe servire a pagare un poco meglio il macchinista. La tassa sui rifiuti si prende tutto il guadagno di un piccolo bar dove si serve acqua, thè, pop corn e patatine. Ma la vera svolta la può dare un finanziamento pubblico (non assistenziale, né caritatevole) in favore di un’attività capace di aggregare le persone su temi e valori morali. E altrettanto benefica sarebbe l’attività di una banca territoriale che, oltre a finanziare le feste patronali, faccia un credito realmente agevolato per favorire le ristrutturazioni e gli ammodernamenti dei piccoli cinema.
“Retorica assai, fatti pochi” mi ha detto il giovane esercente, offrendomi la visione di un film meraviglioso che certamente non incasserà milioni e milioni di stupidi soldi. E ora, per un acutissimo senso di colpa, solidarizzo con lui che non mi ha nemmeno fatto pagare il biglietto.

Auguri.

Nicola Di Ceglie