“Anomalisa” di Charlie Kaufman e Duke Johnson

Di Dino Cassone

Di Dino Cassone

Questo è il classico film che appena fuori dal cinema, rimuginandovi sopra, ci si chiede almeno due cose: la prima è «E allora?»; la seconda «Se mi reco in biglietteria piangendo, me li restituiranno i soldi?». Già, perché Anomalisa, il film d’animazione (con pupazzi davvero brutti, va detto) firmato a quattro mani da Charlie Kaufman e Duke Johnson, è una delle pellicole più sopravvalutate di questa stagione. Almeno per chi scrive. Critiche favorevoli urbi et orbi e la presenza di Kaufman, già sceneggiatore degli splendidi “Se mi lasci ti cancello” (di Gondry) e “Confessioni di una mente pericolosa” (di Clooney), ci hanno spinto a varcare la soglia, non facile da trovare, di un sala dove era in programmazione.

Anomalisa3Questa la trama. Il protagonista si chiama Michael, sposato con figli, autore del libro “Come posso aiutarvi ad aiutarli?”, un uomo schiacciato dalla banalità della sua esistenza e in piena crisi. Durante il soggiorno all’Hotel Fregoli (nome che è tutto un programma con tanto di messaggio sub-liminare, che puzza naturalmente d’ovvio) di Cincinnati, ospite di un congresso, conosce Lisa. La donna, che di professione fa la rappresentante dolciaria, con il suo carattere mite e senza pretese, finisce per far innamorare, ricambiandolo, il nostro. Che finalmente, ha la sua botta di vita.

Un film che vuole essere originale a tutti i costi. A partire dal fatto che i personaggi di contorno, tutti ad eccezione di Lisa, hanno la stessa faccia (cambiano solo le pettinature e gli abiti) e la stessa voce maschile. E anche qui è scomodato Freud, che con una giravolta spaziale degna di Goldrake, piomba sulla testa dello spettatore, schiacciandolo con tutto il peso delle sue teorie sull’omologazione post-depressiva e sulla mania di persecuzione (ma non ci aveva già pensato Woody Allen?). Ecco che poi giunge l’anomalia chiamata Lisa (spiegato così il titolo, la cosa più bella di tutto il film), voce dolce e diversa, fuori dal coro (come chi scrive, bocciando una pellicola esaltata da critici sicuramente più quotati), e la vita si accende di tutti i colori della passione. Con un’insulsa quanto lunghissima e imbarazzante (per lo spettatore che diventa inconsapevole voyeur) scena di un amplesso, che sta all’erotismo come il sollievo di un gelato mangiato al Circolo Polare Artico.

Insomma un film che lascia molte perplessità, così come il finale che rappresenta una maldestra inversione in piena autostrada. Allo spettatore non resta che tornare a casa e dimenticare. Cosa che avverrà già durante la sigla di Fuori Orario in televisione.

Dino Cassone