CHICO, ARTISTA BRASILEIRO, regia di Miguel Faria Jr. (2015)

di Francesco Monteleone

“Se tu non fossi ‘tu’, chi vorresti essere?”
A questa domanda giocosa e senza speranza, io non avrei dubbi nel rispondere. “Vorrei essere Chico Buarque…”
Questo è il modo migliore per esprimere la profonda ammirazione che provo verso un genio di quelli che ne nasce uno ogni mezzo secolo. E dopo la visione di “Chico: Artista Brasileiro” (2015) del regista Miguel Faria Jr. difficilmente cambierò idea.
Il documentario che presentiamo lascia ammutoliti per la ricchezza di temi, aneddoti, confessioni, verità nascoste dell’artista carioca.
Senza l’aiuto di questa opera è impossibile per noi italiani, che viviamo tanto lontano da lui, poter comprendere chi è e cosa ha fatto di tanto speciale il musicistapoetacantantescrittorepessimoattore Francisco Buarque de Hollanda, nato a Rio de Janeiro il 19 giugno 1944 e, grazie a Dio, ancora vivente.
La trivialità delle nostre esperienze culturali ci fa lasciare, quasi sempre, le cose a metà; siamo soffocati dagli impegni, dai doveri e sviati dalla superficiale curiosità verso il nuovo. Invece Chico Buarque ha una personalità feconda, densa di sfumature; dov’è tutto il tempo necessario per seguirlo, studiarlo e imparare da lui?
Chico è sempre stato un modello di perfezione: ha due nuvolette celesti imprigionate negli occhi, la voce poliritmica che non si alza mai per dire amarezze, un’eleganza corporea tranquillizzante e l’inesauribile ispirazione dei grandi poeti come Petrarca, Alighieri, Neruda, Catullo…che gravano sulla memoria dell’intera umanità con lo splendore delle loro rime.
La complessità di un uomo simile la può capire solamente sentendolo parlare nella sua lingua. Perciò, se non si conosce il portoghese, è davvero necessario vedere questo biopic dotato dei sottotitoli; solamente così essa ci fa entrare in un labirinto di storie belle, che c’è il rischio di non uscirne più.
Diciamo qualcosa: a 22 anni Chico Buarque compose una canzone famosissima, che sfrecciò in alto nelle classifiche di tutto il mondo; dopo ‘A banda’ (1967) l’elenco di capolavori ci farebbe consumare molto inchiostro.
In quel tempo Chico fu ricompensato da un amore puro, fisso e indimenticabile verso Marieta, attrice famosa e madre delle sue 3 figlie, durato 30 anni di felicità.
Secondo Vinicius de Moraes, il suo amico Chico ‘sa tutto’, si esprime in 4-5 lingue differenti, possiede una cultura letteraria laica e civile. Infatti, il grande Buarque seppe opporsi alla dittatura militare brasiliana con coraggio, lealtà e solidarietà verso i perseguitati dal regime. Il suo genio musicale fu, purtroppo, condizionato da una miserabile censura che per anni lo costrinse a criptare i pensieri in innocue parole. Ma i suoi testi messi in melodia hanno sempre conservato un valore sentimentale, sociale e politico assoluto. Per esempio, leggete i retroscena della meravigliosa “Cálice” (quello dell’Ultima Cena di Gesù che si pronuncia come ‘cale-se’ (“stai zitto, taci”)
Il documentario dell’ottimo regista Miguel Faria termina con un’intensissima meditazione di Chico Buarque sulla sua morte fisica, ma è soprattutto un raffinato divertimento, una lezione di storia dell’arte, una confessione inaspettata.
Il signore della bossanova, che sempre ci commuove con ‘O que será’, nelle ultime stagioni della sua vita, predilige 3 cose: la solitudine agiata, l’epicità infantile del calcio e l’allegria contagiosa (pochi uomini sanno raccontare le storie con tanta ironia come fa Chico Buarque).
Per finire, mandiamo un triplo ‘like’ all’associazione Abaporu’ che ha importato e tradotto questo gioiello per il ‘Bari Brasil Film Fest” e diamo un manrovescio ai distributori cinematografici italiani che non ne hanno compresa la grandezza.

Francesco Monteleone