Giornalisti nel mirino

Giornalisti nel mirino, in Italia censiti 200 casi di minacce in sei mesi
Libertà, lavoro e legalità sono stati al centro di un incontro tra cronisti, sindacati e magistratura. A Taranto tante realtà praticamente sconosciute: serve un libro bianco dell’informazione

 di Gianni Svaldi

Duecento giornalisti minacciati dall’inizio dell’anno. Sono 2883 nell’ultimo decennio (dato: ossigeno per l’informazione). E spesso a subire sono i meno tutelati, quelli senza contratto, professionisti che lavorano per 6 euro lordi al pezzo.
Non sempre le minacce arrivano su facebook o con telefonate, a mettere a rischio la libertà di informazione in Italia sono, a volte, le cause temerarie, intentate più per intimorire che per ricevere giustizia.
Così di giornalismo sempre più spesso si muore e sempre meno si vive. I numeri della stampa sono in rosso, rosso sangue. A partire da quelli legati alla libertà, per arrivare alla perdita di posti per giornalisti e poligrafici. Del preoccupante fenomeno si è parlato venerdì 17 giugno a Taranto tra giornalisti, magistratura e mondo sindacale. Promosso da Slc, Cgil, dalla Fnsi e dall’Assostampa di Puglia nella sede del palazzo della Provincia, l’incontro “Libertà, lavoro e legalità, le tre elle dell’informazione” è stato presentato da Andrea Lumino (Slc Taranto) e da Nicola Di Ceglie (Slc Puglia), e coordinato da Mimmo Mazza, vicepresidente Assostampa Puglia.
L’Italia è in caduta libera: quest’anno nella classifica stilata da Report senza frontiere il Bel paese è al 77esimo posto (http://rsf.org/ranking). Quattro posizioni in meno rispetto al 2015. A pesare fortemente sono proprio le intimidazioni e le minacce di morte. Meglio di noi anche il Burkina Faso.
Per invertire la tendenza serve un fronte comune.
“La mala teme la cultura e i clamori” ha spiegato il sostituto procuratore antimafia Alessio Coccioli, relatore all’incontro. A dare manforte alle affermazioni del magistrato, il giornalista Sandro Ruotolo che da anni vive sotto protezione per minacce ricevute dalla camorra. “A volte le minacce non sono dirette ma per un boss della mala basta chiamare in redazione, dire ‘tu non sei un buon cronista’, per intimorire”, ha precisato Ruotolo. A bastonare la schiena all’informazione e alla democrazia del Paese, non è solo la minaccia diretta o indiretta del boss, del bullo del paese o del piccolo politicante, ma anche la crisi economica. A rimarcare lo stretto rapporto tra informazione e livello di civiltà del Paese è stato Giuseppe Massafra, segretario provinciale della Cgil, che ha sottolineato “il dovere dei media di riparare al dilagante analfebetismo funzionale”, in altre parole all’incapacità di capire quello che si legge.
Di cosa deve vivere il giornalista resta un tema caldo e irrisolto: sempre Ruotolo ha rimarcato come un suo post su facebook fa 200mila like, “mentre Mattino di Napoli e Gazzetta del Mezzogiorno arrivano a 50mila copie insieme”, ha detto. Dato significativo, ma che, tuttavia, non tiene conto della differenza tra chi mette un like su facebook (operazione semplice, che si può fare senza troppo sforzo) e il gesto consapevole del lettore di andare in edicola e comprare il giornale. Due approcci diversi.
La necessità di “una visione di insieme” e “di portare l’informazione puntuale e non approssimativa sulle nuove piattaforme” è stato il tema principale affrontato dal segretario nazionale della Slc Massimo Cestario. Nella catena di produzione della notizia ci sono anche i poligrafici, i quali hanno visto nel giro di pochi anni ridotti del 50 per cento i posti di lavoro. “Attualmente sono circa 7000 addetti” che attendono il rinnovo del contratto dal 2011. “Bisogna puntare a un contratto unico con quello dei giornalisti, ognuno con le proprie mansioni”, ha auspicato Cestario a margine dell’incontro.
“L’informazione sana per salvarsi – ha sottolineato Cestario – ha bisogno di una certificazione che la distingui dall’altro”.
“La Fnsi è in campo nella difesa dei giornalisti – ha evidenziato con forza Raffaele Lorusso, segretario della Fnsi – E oggi lo siamo ancora di più con la costituzione di parte civile in un processo che si celebra a Catania contro i presunti autori delle minacce e delle aggressioni nei confronti di un cronista”.
A mettere d’accordo tutti è soprattutto la necessità di disegnare una mappa precisa dell’informazione a Taranto, mondo diventato soprattutto negli ultimi anni troppo ampio e frastagliato. Nella provincia ionica è persino difficile stilare una lista delle testate on line dei blog informativi, web tv, pagine facebook camuffate da portali informativi. Chi scrive ne ha contati 22 affidandosi anche alla memoria di altri colleghi, ma è una stima riduttiva, stilata con il beneficio dell’inventario, potrebbero essere anche il doppio. Cosa ci fanno tante testate in un tessuto economico incapace di sostenere con la pubblicità anche solamente un decimo dei media presenti è una delle domande che oggi realtà sindacali e professionali si devono fare.
A questi 22 organi (e ripeto è una stima assolutamente al ribasso ndr) non corrispondono assunzioni, contributi previdenziali, iscrizioni all’ordine professionale, sono editi da persone a volte sconosciute al fisco. Molti sono “sottoscale dell’informazione“, allarmanti almeno come la crisi del settore e le minacce. Questo nuovo mondo dai confini incerti, dunque, richiede una mappatura, un elenco a garanzia dei lettori: soprattutto, risposte alle domande “chi vi lavora”, “chi è l’editore”, “chi lo finanzia”?
C’è urgenza di stilare un libro bianco dell’informazione tarantina, perché se è vero che i giornalisti vengono minacciati, dall’altra parte è fortissimo il sospetto della presenza di realtà che utilizzano l’informazione per tornaconti privati, come strumento di intimidazione per ottenere soldi e prebende.

Slc Cgil Puglia