I mitici anni ’70 celebrati in “Vizio di forma” di Anderson

Di Leonardo Cassone

Di Leonardo Cassone

Un surreale investigatore privato hippie, Doc Sportello, viene incaricato dalla sua ex, Shasta Fey, ad indagare su un caso complesso. La donna sospetta che il suo nuovo amante, Wolfmann, un losco palazzinaro, stia tramando contro di lei. Inaspettatamente, Sportello viene accusato dell’omicidio di un ispettore della Squadra Omicidi, Bigfoot Bjornsen, con il quale, in passato, ha avuto alcuni diverbi. Una gatta da pelare per il nostro protagonista: risolvere il caso e dimostrare la sua innocenza. Ma nulla è come sembra.

Paul Thomas Anderson, già autore di opere intense ed iconiche, come lo splendido “Magnolia” e il corposo “Il Petroliere”, questa volta manca per poco il centro del bersaglio. Questo suo “Vizio di forma” (benedetti titolisti italiani: perché sminuire il bellissimo originale “Vizio intrinseco”, che tra l’altro è la chiave del mistero?), tratto dal romanzo di Thomas Pynchon è un psichedelico omaggio agli anni ’70 a stelle e strisce. Nonché a tanto bel cinema: Altman, Polansky

Un noir sopra le righe, con continui richiami a Hammett e Chandler, dove lo spazio per capire lo svolgimento dei fatti era davvero esiguo. E qui, probabilmente Anderson ha ecceduto: mestando e rimestano all’estremo la trama, l’ha resa davvero un garbuglio che nemmeno la soluzione finale riesce davvero a convincere lo spettatore più astuto di aver davvero capito tutto. Ma tant’è. Il film ha senz’altro altri meriti: innanzitutto una fotografia meravigliosa, volutamente sgranata; un’esplosione gioiosa di colori, un trip fantasmagorico che è davvero un piacere per la vista. Per non parlare della travolgente colonna sonora, praticamente perfetta, di Johny Greenwood, che comprende anche Neil Young, The Marketts, Les Baxter e Chuck Jackson.

Capitolo a parte meritano gli attori: stratosferico Joaquin Phoenix, nei panni del “fattissimo” Sportello, sempre in bilico, tra due epoche (il beat degli anni ’60 e il fermento dei ’70), tra due droghe, l’erba e la polvere d’angelo, tra l’amore (la sua ex) e il sesso (la donna attuale); bravi, nei ruoli di comprimari, un “recuperato” Josh Brolin che interpreta Christian “Bigfoot” Bjornsen, Katherine Waterson nei panni della ex, Shasta Fey, Reese Withterspoon in quelli della algida Penny Kinball, la nuova amante di Doc, e soprattutto Benicio Del Toro che interpreta Sauncho Smilax, un pittoresco avvocato di diritto marittimo.

Nonostante qualche sbavatura nella sceneggiatura, Anderson resta uno dei registi contemporanei più originali e interessanti, un maestro nella direzione degli attori, e il suo film vale assolutamente una visione.

Dino Cassone