Il mondo non è dei poeti: Caparezza remixa Dante

di Trifone Gargano

museica-album-coverEsempio di musica 2.0, l’ultimo (bel) cd di Caparezza, Museica, appena uscito, con la proposta di ben diciannove brani (o esposizioni). Caparezza, in questo cd, mescola (remixa) materiali, ritmi, citazioni, parole, disegni, annunci e altro ancora, a comporre un unico (nuovo) messaggio transmediale, in pieno stile web 2.0. Del resto, Caparezza, artista transmediale lo è stato sin dalle sue origini, interpretando appieno (e con molta ironia) la natura multicodale dell’arte post-moderna (tutta l’arte, non solo quella musicale). Qui, il remix dei materiali e dei linguaggi si fa maturo e esplicito (con dirette citazioni dello stile net generation, caratterizzato dal copia/incolla, e, nella Canzone all’uscita, dalla diretta evocazione di Wiki, la piattaforma aperta, progettata e co-realizzata a più mani, sul modello dei poemi omerici del mondo classico, aperti anch’essi alle ri-scritture multiple). Filippo Argenti, della famiglia fiorentina degli Adimari, di parte nera, cavaliere ricchissimo e dal temperamento superbo, tanto da far ferrare il cavallo con l’argento (e il suo appellativo deriverebbe proprio da questa sua spacconeria), secondo la testimonianza di Giovanni Boccaccio, fu uomo “di persona grande, bruno e nerboruto” (vocabolo, quest’ultimo, e dettaglio fisico, riferito all’Argenti, che è presente pure nel testo della canzone di Caparezza, lì dove si legge, infatti, di “signori violenti e nerboruti”, ai quali il mondo, anche oggi, si inchinerebbe).

Giovanni_Boccaccio_1449Dante colloca Filippo Argenti in questo canto, tra i dannati della palude Stigia, in particolare, tra gli iracondi, e ne fa il protagonista assoluto della prima metà del canto, dedicandogli poco più di trenta versi (31-63), nei quali il tono violento, le reciproche contumelie, l’arroganza e le ingiurie ricorrono a ritmo serrato, di verso in verso (coinvolgendo, in questo sentimento terreno di disprezzo lo stesso Virgilio). Forniamo, qui di seguito, un campione del lessico e delle espressioni utilizzati da Dante in questo episodio, indicativi della violenza (anche verbale) dell’incontro (scontro) tra i due fiorentini: morta gora, fango, brutto, piango, lutto, spirito maledetto, lordo, cani, persona orgogliosa, ombra furiosa, porci, broda, strazio, fangose genti, spirito bizzarro, denti.

Il dodicesimo brano di Museica si apre con un recitativo, il cui testo è tratto dal canto VIII dell’Inferno dantesco, dalla sezione nella quale, lo ribadiamo, giganteggia la figura (maledetta) di Filippo Argenti. Dante è nella palude melmosa e maleodorante dello Stige (uno dei fiumi infernali, ch’egli definisce con espressioni differenti: pantano, lorda pozza, tristo ruscel, morta gora, ecc.), nel V cerchio, dove scontano la loro pena gli iracondi e gli accidiosi (i primi, nudi e imbrattati di fango, si percuotono continuamente l’un l’altro; i secondi, invece, sono interamente affogati nel fango). Custode di questa palude è Flegiàs, personaggio mitologico, che qui svolge la funzione di traghettatore, e che scambia Dante per un’anima dannata (Or se’ giunta, anima fella!, VIII, 18), provocando l’immediata reazione (violenta) di Virgilio, che lo redarguisce: tu gridi a vòto (VIII, 19).

Dante_universo L’ottavo canto è quello che inaugura l’Inferno più cupo e minaccioso, con l’arrivo alle mura fiammeggianti della città di Dite, il “basso Inferno” (dal VI, al IX cerchio), per entrare nel quale, com’è noto, si renderà necessario un ulteriore intervento divino (dal momento che i diavoli, che difendono la città infernale, sbarrano il passo a Virgilio e a Dante). Che questo canto segni una cesura tra i primi sette dell’Inferno e i restanti ventisette è stato più volte sottolineato dagli studiosi della Commedia, anche con diverse motivazioni, ricorrendo alla sottolineatura del verso incipitario: «Io dico, seguitando …, VIII, 1», che attesterebbe tale (netta) separazione tra una parte e l’altra della cantica. Se poi si prestasse fede al racconto di Giovanni Boccaccio (tra i primi lettori di Dante, e suo appassionato – e fantasioso – biografo), dovremmo anche scorgere nell’espressione di apertura del canto VIII (Io dico, seguitando) la prova del così detto “doppio tempo” della Commedia, secondo il quale Dante avrebbe cominciato a scrivere il suo poema già prima dell’esilio da Firenze (1301-1302), e non, come quasi universalmente si ritiene, intorno al 1306-1307 (ipotesi, questa, che, nel corso dei secoli, è stata più volte sostenuta e rilanciata da valenti dantisti, oltre che da romanzieri e da poeti, fino ai nostri giorni). Da questo episodio dantesco del canto VIII dell’Inferno, deriverebbero, almeno, altri due testi di autori successivi, che mettono in scena Filippo Argenti: la novella VIII della IX giornata del Decameron, di Giovanni Boccaccio, giornata nella quale i novellatori scelgono a proprio gusto il tema da trattare (in questo caso, a narrare è Lauretta, e Filippo Argenti è co-protagonista, assieme con Ciacco, altro personaggio fiorentino, che Dante colloca tra i golosi, nel canto VI dell’Inferno, di una novella di beffe); e la novella CXIV del Trecentonovelle di Franco Sacchetti, che, attraverso la mediazione artistica di Boccaccio, mette in scena un Filippo Argenti ugualmente superbo e iracondo (esempio di remix d’altra epoca).

SacchettiIl remix di Caparezza (Argenti vive) propone anche ulteriori materiali danteschi, provenienti da altri canti (come, per esempio, la citazione del verso “Fatti non foste per viver come bruti”, dal canto XXVI dell’Inferno, quello di Ulisse, con il suo celeberrimo ammonimento a vivere seguendo virtù e “canoscenza”, e non, piuttosto, gli istinti bestiali; ovvero, il riferimento al primo girone del cerchio VII dell’Inferno, quello dedicato ai violenti contro il prossimo – omicidi e predoni -; e così via). Nell’interpretazione di Caparezza, Filippo Argenti, che rovescia l’accusa d’ira su Dante, orgogliosamente rivendica una sua (presunta) modernità, giustificata, a suo dire, dal prevalere nel mondo contemporaneo della ferinità e della bestialità: di grande effetto (non soltanto musicale) suonano, infatti, le parole del ritornello (“Le tue terzine sono carta straccia, le mie cinquine sulla tua faccia lasciano il segno!”). L’intero episodio, anche nella canzone, è in forma di dialogo, tra Dante e il dannato Filippo Argenti, che gli si erge dinnanzi con arroganza, e che gli rivolge la parola, in un lungo e serrato monologo, senza alcuna tema di inferiorità, per ricordargli, con spavalderia, di essere proprio l’Argenti suo vicino di casa, quello che una volta egli derideva, e che poi ha collocato all’Inferno, tra gli iracondi che annegano nel fango. Con ritmo incalzante e ossessivo, l’Argenti di Caparezza si prende la sua rivincita (politica) su Dante, urlandogli in faccia che il “mondo non è dei poeti”, ma dei “prepotenti” come lui; ch’egli è ancora (e sempre) il “più temuto” e, quindi, il “più rispettato” della città; per concludere sentenziosamente che, se questo mondo è l’inferno, allora, il mondo gli apparterrà, e che, quindi, il resto, tutto il resto, altro non sarebbe che un cumulo di “inutili belle parole”.

Argenti vive l’ho proposto in classe, nella mia terza liceo musicale, come lettura-ascolto in multitasking con il testo dantesco. È stata la chiave d’accesso che cercavo, per la lettura-studio di un canto non facile della Commedia (generalmente, non letto a scuola), mqa, soprattutto, per l’avvio di una discussione sul nostro tempo. Si tratta di un canto, l’VIII dell’Inferno, ricco, sì, di spunti trash e pulp (tipici del “basso inferno”, e, per certi aspetti, anche molto vicini alla sensibilità “cannibale” dei giovani di tutti i tempi, compresa una certa diffusa propensione all’horror), ma molto impegnativo, sia perché bipartito nella sua struttura narrativa, tra iracondi e accidiosi, della prima parte, e l’orrifica apparizione della citta di Dite (con le sue torri fiammeggianti), della seconda, e conclusiva, sequenza narrativa; sia per la sua dimensione etico-politica. Il canto VIII, infatti, al di là della scena truculenta della palude Stigia, impegna il lettore contemporaneo (studente o no che sia) con riflessioni etico-politiche, che partono dalla ferinità e dalla bestialità dei rapporti interpersonali e sociali del Medioevo più lontano, per giungere fin dentro il suo presente, fin dentro la sua storia, la sua vita (individuale e collettiva), e coinvolgerlo, in prima persona.

VIDEO:

TESTO:

“A Filippo Argenti”

Ciao Dante, ti  ricordi di me? Sono Filippo Argenti, il vicino di casa che nella Commedia ponesti tra questi violenti, sono quello che annega nel fango, pestato dai demoni intorno.

Cos’è? Vuoi provocarmi, sommo? Puoi solo provocarmi sonno!

Alighieri, vedi, tremi, mi temi come gli eritemi, eri te che mi deridevi?

Devi combattere ma te la dai a gambe levate, ma quale vate, vattene!

Hey, quando quando vuoi, dimmi dimmi dove!

Sono dannato ma te le do di santa ragione così impari a rimare male di me, io non ti maledirei, ti farei male, Alighieri! Non sei divino, individuo, se t’individuo ti divido! 

Inutile che decanti l’amante, Dante, provochi solo cali di libido.

Il mondo non è dei poeti, il mondo è di noi prepotenti.

Vai rimando alla genti che mi getti nel fango, ma io rimango l’Argenti!

Argenti vive, vive e vivrà, sono ancora il più temuto della città, sono ancora più rispettato quindi cosa t’inventi? Se questo mondo è l’Inferno allora sappi che appartiene a Filippo Argenti!

Poeta, tu mostri lo sdegno, ma tutti consacrano questo regno, a Filippo Argenti!
Le tue terzine sono carta straccia, le mie cinquine sulla tua faccia, lasciano il segno!

Non è vero che la lingua ferisce più della spada, è una cazzata. Cosa pensi tenga più a bada, rima baciata o mazza chiodata?
Non c’è dittatore che abdichi perché persuaso, pare che qui nessuno sappia nemmeno che significhi “abdicare”. Ma di che parliamo?
Attaccare me non ti redime, eri tu che davi direttive per annichilire ogni ghibellino, cerchio sette giro primo. “Fatti non foste per vivere come bruti”, ben detta, ma sputi vendetta dalla barchetta di Flegias, complimenti per la regia!
Argenti vive, vive e vivrà, alla gente piace la mia ferocità. Persino tu che mi anneghi a furia di calci sui denti ti chiami Dante Alighieri ma somigli negli atteggiamenti a Filippo Argenti!
 
Poeta, tu mostri lo sdegno, ma tutti consacrano questo regno, a Filippo Argenti!
Le tue terzine sono carta straccia, le mie cinquine sulla tua faccia, lasciano il segno!

Stai lontano dalle fiamme perché ti bruci, guardati le spalle, caro Dante, è pieno di bruti.
Tutti i grandi oratori sono stati fatti fuori da signori, volenti e nerboruti.
Anche gli alberi sgomitano per un po’ di sole, il resto sono solo inutili belle parole. 
Sono sicuro che in futuro le giovani menti, saranno come l’Argenti e l’arte porterà il mio nome: Filippo Argenti!

Trifone Gargano