“Il padre” di Fatih Akin

Di Dino Cassone

Di Dino Cassone

«Un film puro, epico, di grande intensità e bellezza, come non se ne fanno più», ha scritto il maestro Martin Scorsese a proposito di questo film. Si accettano opinioni discordanti e polemiche: comunque sia vale la pena ripescare dal dimenticatoio questo “Il padre” del regista di origini turche Fatih Akin. La pellicola del cineasta, già apprezzato almeno per un altro paio di pellicole, il pluripremiato “La sposa turca” e il fantastico “Soul Kitchen”, è uscita nel 2014 e, tanto per cambiare, ha fatto solo una pallida apparizione nelle sale cinematografiche della penisola.Armenia, 1915. La polizia turca, in piena notte, preleva con forza tutti gli uomini, che saranno resi Il padre 1schiavi e costretti ai lavori forzati. Tra di loro c’è anche il fabbro Nazaret (intenso e bravissimo Tahar Rahim), che riesce a salvarsi dall’uccisione di gruppo, restando muto a causa di una ferita da taglio alla gola (ecco spiegato il più sanguigno titolo originale “The cut”). Per lui comincia un allucinante peregrinaggio, al limite della sopravvivenza, prima per mettersi in salvo, poi, scoperto che la sua famiglia è stata completamente falcidiata ad eccezione delle sue due figlie gemelle, per cercarle. Dalla Turchia arriverà in Siria, poi in Libano, quindi su una nave che lo porterà fino a Cuba; da qui negli Stati Uniti, a Minneapolis prima, in Nord Dakota poi, fino a trovare, quindici anni dopo, una delle due figlie (l’altra nel frattempo è morta di malattia), in un paesino sperduto ai confini del Canada.Un “taglio” che mirabilmente esprime il genocidio delle migliaia di armeni per opera del governo dei Giovani Turchi e quello che rende senza voce, simbolicamente, il protagonista di questo kolossal che richiama i filmoni degli anni cinquanta e sessanta alla David Lean. Dove il protagonista assoluto è l’amore. Mirabile la ricostruzione scenografica e i costumi, spettacolare la fotografia, efficace il montaggio, emozionanti le musiche.Un melodramma epico dove al povero Nazaret gliene capitano di tutti i colori durante l’angosciante e disperato inseguimento delle amate figlie. Che ci porterà al catartico finale, in verità abbastanza telefonato e che rappresenta la parte più debole del film.

Dino Cassone