LA BEATITUDINE

di Francesco Monteleone

di Francesco Monteleone

di Riccardo Spagnulo con Licia Lanera, Lucia Zotti, Danilo Giuva, Mino Decataldo, Riccardo Spagnulo. Regia di Licia Lanera.

La cosa più assurda è questa: mentre stiamo ammettendo o scartando gli ultimi appunti sono già finite all’Abeliano le repliche di una delle drammaturgie più emozionanti prodotte in Puglia negli ultimi anni. Perciò facciamo un’ illazione senza pretese di verità: purtroppo non saranno più di 500 gli spettatori che avranno visto un’opera senza cliché, sostenuta da temi tragici e festosi, invece dei 10 mila paganti che avrebbero dovuto godersela, ringraziando la Madonna dei Generosi. Questa è la penosa condizione del teatro contemporaneo: la ‘quarta parete’ è piena di crepe, i critici preparati sono 4 gatti che scrivono poche e piccole recensioni lette da 4 cani bastonati, gli assessori alla cultura danno i soldi a cazzo, il pubblico tiene nella mente il pus televisivo, la scuola e l’università non fanno il loro fondamentale dovere di conservare, insegnare, stimolare la letteratura teatrale. E allora vada in malora quell’Italia che lucida le scarpe ai massoni e svuota i loggioni! E meno male che esistono (o resistono) le Fibre Parallele, capaci di disturbare la nostra quieta infelicità con questa incomparabile “Beatitudine”.
E ora proviamo a sembrare meno rancorosi e più intelligenti: una giovane sposa (Licia Lanera) abortisce un neonato; la vita reale le diventa utile come un bicchiere capovolto quando si ha sete. Ella decide di allevare ed educare un neomorto di plastica chiamato Cosimo che, nel momento della rappresentazione, ha 6 anni. Il marito incredulo asseconda la moglie, ma sottomesso alla follia di una donna che ama, ne rimane scheggiato, trascura l’igiene del proprio corpo, diventa sessualmente repellente, viene rifiutato. Il grande drammaturgo Edward Bond ultimamente ha riformulato così l’antico dubbio amletico, per un suo personaggio: “essere sano di mente o non essere sano di mente, questo è il problema”.
La seconda coppia in scena è madre (Lucia Zotti) – figlio in carrozzina (Danilo Giuva). Inquadrati al quinto piano di un condominio con sole scale, i due personaggi si emancipano nel piacere quando arriva l’ascensore. Grazie a intriganti incontri ai giardinetti, questa commedia diventa una meravigliosa rappresentazione di scambismo social-porn, una fenomenologia dell’amore intriso di ridicolo, di tragico e di superstizione popolare (la figura del mago impostore interpretato da Mino Decataldo è una trovata geniale). Insomma, il paraplegico si inviolina la paranoica. La mammina settantottenne cade e salta sul lercio maritino. Il tradimento sessuale, che sempre genera aggressività negli esseri umani, scatena un finale travolgente.
 Riccardo Spagnulo (il meno ‘attore’ della compagnia) ha scritto il testo che fa sembrare la psicologia una scienza sorpassata. L’autore estende il disastro psichico e morale alla gente normale; con una prosa teatrale magnifica ci insegna che il piacere non è ricercato da raffinati intellettuali alla Gabriele D’Annunzio, ma anche da raggelanti corpi accessoriati di cellulite. Lucia Zotti, dopo questa rifinitura, non sfiorisce più. Danilo Giuva riesce a divertire senza dare mai di farsa. Mino Decataldo dà il suo poco, inconfondibilmente. Invece Licia Lanera è fatta di una materia fluorescente. Sotto le luci del teatro, disposte perfettamente da Vincent Longuemare, la protagonista inizia a risplendere e quanto più recita, tanto più risplende. Il Premio Ubu ricevuto l’anno scorso come miglior interprete under 35 è strameritato; e noi vorremmo anche scommettere quei (pochi) risparmi salvati dalle banche che prestissimo riceverà grandi titoli come regista, perché Licia è, anzi ‘ha’ il talento puro.

Visto al Teatro Abeliano di Bari il 13 dicembre 2015

Francesco Monteleone