Nel nome del padre, del figlio e del social network più santo

Don Giovanni Fasoli(di Carmela Moretti)

Quando ha accolto la proposta di tesi del suo docente, Don Giovanni Fasoli  non sapeva a cosa andasse incontro. Oggi questo sacerdote dal volto simpatico, residente a Cavalo e appartenente all’ordine dei Padri di Nazareth, è diventato uno dei massimi esperti in Italia di social network. Parla di chat e profili fake con la stessa facilità con cui recita un padrenostro e gestisce il blog “Life 2.0” in cui condivide post, video e riflessioni. Ovviamente, i suoi interlocutori preferiti sono i giovani, a cui consiglia di “partire dalla vita vera, andare on line e tornare alla vita. Allora il virtuale non è più un problema, perché diventa solo un passaggio”.

 

1)    Don Giovanni, avrebbe mai immaginato di ritrovarsi un giorno a tenere delle conferenze sui social network?

Non del tutto. Quando ho deciso l’argomento di Psicologia in cui laurearmi, volevo farlo in Psicologia Sociale e Informatica. Avevo pensato a qualcosa sull’influenzamento giovanile, cioè da dove arrivano le matrici di pensiero, per esempio dalla musica o dal cinema. Stiamo parlando di quattro anni fa. Ma quando sono andato dal mio professore di Informatica, lui mi ha detto senza pensarci un secondo: “Ma no, devi farlo sui social network!”.

2)    Come ha accolto la sfida del suo professore?

A dir la verità, pur stando con gli adolescenti dalla mattina alla sera, non avevo ancora questa percezione dei social network e della loro importanza nella comunicazione giovanile. L’ho fatto perché lui era il mio professore di tesi. Adesso mi rendo conto di quanto sia stato utile.

3)    Da esperto, riesce a prevedere a cosa andiamo incontro? Per esempio, le lettere e i bigliettini d’amore scompariranno?

Il punto in cui siamo arrivati non ha un presente e basta, è tutto proiettato al futuro. Ed è un futuro che non possiamo nemmeno immaginare. Ma non credo che nella comunicazione le lettere scompariranno, al contrario diventeranno qualcosa di splendido e artigianale. Io credo che tutto ciò che è 2.0 (interazione on line) non vada a sostituire tutto il resto. Dipende dall’idea di 2.0 che abbiamo.

4)    Quindi lei consiglia di non denigrare, ma di valorizzare la tecnologia?

La tecnologia è un pezzo della nostra vita. Non è il contenuto, è solo la forma. E chissà come si evolverà, dato che non potevamo nemmeno prevedere di arrivare fin qui. Per quel che mi riguarda, io non metterei il focus sulla tecnologia, perché noi oggi non abbiamo problemi tecnologici ma relazionali.

 

5)    Nel suo rapporto con i giovani, qual è la domanda più bizzarra che le hanno rivolto?

Forse l’episodio più strano è stato quando un ragazzo è arrivato in confessionale dicendomi che doveva farmi una domanda, ma non era una confessione. E ha cominciato a chiedermi se facebook fosse pericoloso. Subito gli ho chiesto: “Ti ha mandato tua mamma, vero?”. Ed era così. Allora gli ho detto di dire a sua madre che anche uscire per strada poteva diventare pericoloso e che, quindi, la risposta dovevano trovarla insieme. Con questo intendo dire che un ragazzo difficilmente ti fa domande sui social network.

 

6)    Quindi il problema è più sentito dai genitori?

È una differenza di percezione. Chi è fuori non percepisce cosa avviene dall’interno e chi è all’interno non sente la necessità di rivolgere domande. L’adulto oggi non sta gestendo dall’interno la problematica, fermandosi all’apparenza, mentre i giovani non percepiscono le conseguenze dell’essere interni a quel mondo.

 

 

 

Carmela Moretti