PENSIERI E PAROLE DI UNA FEMMINISTA

(di Mariella Forleo)

Scarlet LovejoyDa più di un secolo, l’8 Marzo si celebra la Giornata Internazionale della Donna, festa diventata parte integrante della nostra cultura, ma anche occasione di manifestazioni che, purtroppo, hanno poco a che fare con lo sfondo politico-sociale di questa ricorrenza. Per l’occasione, ogni anno si mobilitano un enorme numero di associazioni che, insieme a giornali, radio e televisioni, contribuiscono a diffondere l’importanza della donna nella società, come soggetto che ha messo in atto un grosso e radicale cambiamento di costume e di mentalità. Le conquiste sociali, politiche ed economiche ottenute negli ultimi decenni da milioni di donne hanno soppiantato quasi completamente il modello di società che vedeva la donna rivestire il ruolo di angelo del focolare e che faceva ricadere completamente sul loro sacrificio la responsabilità di tenere unita la famiglia, nucleo fondante della nostra società. Ma che senso ha, oggi, festeggiare l’8 marzo?  Il significato di questa ricorrenza, che mette al centro l’universo femminile, è cambiato nel corso degli anni e si è evoluto man mano che l’inversione di pensiero rispetto al ruolo della donna nella società e la produzione di un nuovo modo di intendere la parità di genere non è arrivato a mettere al centro di tutte le discussioni la questione basilare della dignità delle donne, del suo riconoscimento e della sua valorizzazione nella vita pubblica e in quella privata. In pratica, dopo anni di lotte si è riusciti ad ottenere una corposa normativa utile a rimuovere la discriminazione diretta e indiretta nei confronti delle donne, ad acquisire una serie di diritti civili che stabiliscono, inequivocabilmente, il principio assoluto di parità e, nonostante tutto ciò, non si è riusciti a tutelare la dignità della donna all’interno di una società che ancora dimostra innumerevoli pregiudizi, che si frappongono alla completa realizzazione di questo principio. L’obiettivo primario, oggi, è quindi quello di promuovere e diffondere la piena attuazione delle disposizioni legislative vigenti, alla luce del fatto che, pur in presenza di un quadro normativo articolato, gli strumenti previsti dal legislatore non sono sufficienti da soli a produrre il cambiamento auspicato e auspicabile. Manca di fatto, purtroppo, la penetrazione nel tessuto sociale di tali principi, ostacolata dai modelli culturali che ancora trasmettono uno stereotipo femminile costantemente assoggettato al maschio e alla sua supremazia. Molta strada è stata fatta in Italia dal primo 8 Marzo del 1946, quando fu festeggiata la festa della donna e fu simboleggiata con rametti di mimosa, ma il cammino da fare per il raggiungimento della parità di genere è ancora molto lungo e prevede, in primo luogo, il rovesciamento degli stereotipi culturali, trasmessi dai media, che dipingono la donna felice nel contesto famigliare, che si preoccupa della cellulite e delle rughe, ossessionata dal fattore estetico, dalla seduzione, dalla giovinezza e, soprattutto, sessualmente subordinata attraverso la mercificazione del corpo inteso come unica arma di potere sull’uomo. In campo politico, poi, la situazione è avvilente: in Italia siamo il fanalino di coda per quel che riguarda la rappresentanza politica al femminile e, pur essendo oltre la metà dell’elettorato, diamo agli uomini il potere di decidere per noi. Inoltre, negli ultimi anni, le poche donne ai vertici della politica hanno contribuito a trasmettere un modello di donna che, per affermarsi a certi livelli, deve soggiacere necessariamente al potere maschilista, utilizzando la bellezza e la seduzione piuttosto che l’intelligenza e la volontà. Le cose non vanno meglio nel campo del lavoro, dove l’alto tasso di disoccupazione femminile, rapportato al titolo di studio, crea un’ingiustizia di fondo che vede le donne laureate senza lavoro e i maschi diplomati occupati, anche in posti di comando e di potere. E si potrebbe continuare a lungo, ma sarebbe soltanto la solita analisi che puntualmente, ogni anno, facciamo in alcune giornate particolari per metterci a posto la coscienza. Sembra, infatti, che parlare di parità di genere sia diventato un modo populista e perbenista per sostituire nel linguaggio comune la parola ‘femminismo’, molto più esplicita, ma ritenuta da molti sorpassata e, quindi, inutilizzabile e anche un modo per spostare costantemente l’attenzione dalla cruda realtà. In pratica, l’abuso continuo di queste tematiche dovrebbe indurci a fidarci poco di chi si ferma solo e soltanto alla fase discorsiva del problema, dando l’impressione di interessarsene, ma di fatto, eludendo ogni forma di impegno sostanziale volto alla risoluzione del problema, creando un luogo comune simile al razzismo, per il quale è quasi impossibile trovare chi dichiaratamente si considera razzista, anche se sostanzialmente lo si è nei comportamenti. Lo stesso discorso va applicato alla parità di genere, che oggi, vedrete e udirete da tutti essere al centro dell’interesse collettivo, salvo poi, trovarci puntualmente a confrontarci con i problemi della violenza sulle donne, della disoccupazione femminile eccetera, eccetera. Basterebbe, invece, che ognuno di noi, all’interno di ciascuna categoria di appartenenza, applicasse i principi di cui parla e di cui sembra essere convinto, per ottenere un reale cambiamento e per costruire un modello di società che veda gli uomini e le donne uniti entrambi nella costruzione del loro futuro.

Mariella Forleo