“The Visit”: ben tornato M.Night Shyamalan!

Di Dino Cassone

Di Dino Cassone

Segreti e bugie in salsa horror. Parafrasando il film gioiello di Mike Nichols, si può definire così l’ultima pellicola firmata da M.Night Shyamalan uscita nelle sale italiane lo scorso 26 novembre. E dopo alcune “cadute di stile” il talentuoso regista sembra aver trovato la lucentezza creativa dei suoi primissimi film-capolavoro, “Il sesto senso”, “Unbreakble” e “The Village”. Il gran ritorno Shyamalan lo fa con un lavoro a basso costo (tutto il cast è stato assoldato a costo ridotto), un piccolo capolavoro di tensione dal titolo “The Visit”, “La visita”.

The visitDue fratelli sono mandati per una settimana dai nonni materni (interpretati dai solidi Peter McRobbie e Deanna Dunagan), in una sperduta fattoria della Pennsylvania, per permettere alla loro madre (Kathryn Hahn, già vista in “Revolutionary Road”) di godersi finalmente una breve crociera con il suo nuovo compagno. Il marito e padre dei due ragazzi li ha abbandonati tempo addietro, lasciando dietro di sé strascichi psicologici: il piccolo Tyler (interpretato dall’Ed Oxenbould) oltre che a essere aggressivo ha la fobia dei germi; sua sorella Becca (la bravissima ed espressiva Olivia DeJonge) invece, non riesce più a guardarsi allo specchio. Quest’ultima, appassionata di cinema, ha deciso di girare un documentario per scoprire i motivi della rottura fra la loro madre e i suoi genitori quindici anni prima. E proprio dall’obiettivo della piccola film-maker che lo spettatore spierà, giorno dopo giorno, la settimana di soggiorno che da dolci momenti familiari si trasformerà prima in un dramma, poi, in un vero e proprio incubo con incursioni nell’horror. Già, perché qualcosa di strano aleggia tra le pareti di quella fattoria, immersa nell’avvolgente odore di biscotti al forno misto a quello del mistero. E della paura, perché ogni “perfetta famiglia americana” ha i suoi scheletri in cantina.

Un film che è anche una profonda analisi sulla vecchiaia, su come ci si possa sentire vittime dell’inesorabile trascorrere del tempo, su cosa accade al nostro corpo (e vi risparmiamo i particolari), e soprattutto alla nostra mente. La vecchiaia filtrata dall’obiettivo spesso ingenuo quanto spietato dei più giovani, con un sorprendente rovescio della situazione (i bambini sembrano già vecchi mentre gli anziani hanno ancora tutto l’entusiasmo giovanile) che pervade tutto il film. Quasi.  

Il pregio del film di Shyamalan è la sua sceneggiatura maledettamente intelligente supportata da un montaggio (Luke Franco Ciarrocchi) spettacolare che come un pendolo preciso batte a pieno ritmo sussulti dritti al cuore dello spettatore. La fotografia di Maryse Alberti è più raffinata ed elegante dei soliti found footage (con immagini grezze prive di patina), che da “The Blair Witch Project” in poi hanno creato un vero e proprio genere cinematografico troppo spesso saccheggiato con prodotti scadenti e deludenti.

Dino Cassone