Caro Presidente, teniamoci le ‘Poste’

Nicola Di Ceglie(di Nicola Di Ceglie)

Lo vorrei conoscere. Non immaginate cosa pagherei per conoscerlo personalmente. E, ora che vi scrivo, chiedo il vostro aiuto, cari compagni. La curiosità di vederlo in faccia non mi fa dormire la notte. Chi è? Ci deve essere una persona di alto rango nelle istituzioni dello Stato che ogni volta che cambia un governo si presenta al presidente del Consiglio e, sapendo della sua fame di soldi, gli dà il migliore suggerimento possibile: in Italia dobbiamo vendere le Poste. È successo pure questa volta. Il genio delle scienze economiche che sicuramente ha subìto qualche grossa delusione giovanile da una raccomandata, è riuscito ad incrociare il sig. Letta e con tono grave sicuramente gli ha scandito la frase magica: è giunta l’ora di cedere ai privati, entro l’anno, una quota di partecipazione in Poste Italiane di circa il 30-40%…E, come accade dal 2005, anche il sig. Letta si è fatto fregare da questo campione mondiale della persuasione; infatti il capo del governo a dicembre ha fatto una dichiarazione molto originale, che supperggiù diceva così: nella prossima estate venderemo una quota di minoranza di Poste Italiane perché abbiamo bisogno di soldi. Siccome le poste valgono 10-12 miliardi di euro, il Ministero del Tesoro ne incasserà 4-5 miliardi. Per farne cosa non ve lo diciamo…Però vi giuriamo sul bene del popolo italiano che BancoPosta e PosteVita rimarranno proprietà dello Stato. Quindi tutti i milioni di pensionati che hanno i libretti di risparmio (la famosa ‘libretta’ della nonna), tutti i risparmiatori che comprano i buoni fruttiferi per figli e nipoti, tutti i titolari dei conti correnti che preferiscono il BancoPosta alle voracissime banche, tutte queste persone non saranno cedute ai privati…Letta sta entrando in un campo minato. Le Poste sono sacre e intoccabili per gli italiani, come San Nicola ai baresi o il Colosseo ai romani. Se fossero vendute per intero ci sarebbe una sollevazione di massa, perché i nuovi proprietari ‘privati’ assomiglierebbero a un branco di lupi ai quali è stato offerto in gestione un allevamento di pecore. Allora ecco la grande idea del governo con le ‘larghe pretese’: mettiamo sul mercato meno della metà delle azioni delle Poste, e la metà di quel meno della metà la riserviamo agli investitori istituzionali (cioè allo Stato stesso). Inoltre a tutti  i dipendenti della ottima holding che nel 2012 hanno prodotto un miliardo di euro di utili, gli regaliamo una quota minima di azioni (diciamo il 2-5%); così i lavoratori che si sono dimostrati  ‘fedeli servitori’ si sentiranno ‘padroni’ e non protesteranno in piazza.

Cari compagni, sappiate che tutto questo casino servirà a incassare 4-5 miliardi di euro, mentre il divino Saccomanni ci ha già avvisati che il debito pubblico ha superato, di molto, i 2.000 miliardi di euro. Praticamente, vendere le Poste è come comprarsi un cerotto dopo che si è avuta una scarica di Kalashnikov.

Bene, scusate la franchezza, ma si sappia in giro che noi della SLC stiamo sorvegliando, in attesa di intervenire. Perché?

1)      Perché i privati che finora si sono impadroniti di asset strategici dello Stato non hanno incrementato né sviluppo, né lavoro e tantomeno ricchezza (vedi la Telecom).

2)     Perché i denari liquidi si spendono facilmente, quando non si hanno progetti da realizzare. I nostri vecchi ci ripetono spesso che è molto meglio tenersi le proprietà reali che i soldi a portata di mano. E hanno ragione!

3)     Perché se miglioriamo i servizi postali (più velocità nella consegna e nelle spedizioni, meno attese al banco ecc.) gli italiani si fideranno sempre di più delle Poste e pagheranno volentieri cifre maggiori.

4)     Perché bisogna disfarsi delle cose inutili e conservare solo ciò che è buono. Invece che spacchettare le Poste, dobbiamo risistemarle per farle fruttificare meglio.

5)     Infine, togliamoci il grillo più stonato dalla testa. La cogestione delle Poste Italiane tra lavoratori e manager richiama ‘La città del Sole’ di Tommaso Campanella. È una utopia che non si realizzerà mai. Il sindacato non vuole partecipare a nessun “rischio di impresa”. I lavoratori non sono i pionieri che vogliono essere guidati nella nuova corsa all’oro. Noi, semplicemente, vogliamo conoscere, discutere e partecipare alle scelte aziendali, perché il sacrificio collettivo possa farci conservare le Poste pubbliche migliori al mondo. E ora riprendo a inseguire il mio uomo, sperando che non sia un lobbista.

Nicola Di Ceglie