Ribelle, irregolare, sempre sopra le righe e fuori dagli schemi, lo scrittore e poeta Jean Genet è stato una voce assoluta della letteratura mondiale, costantemente in bilico tra la poetica più raffinata e aulica e l’idioma sporco e volgare, tipico delle canaglie. Perché, alla fine, in ciascuno di noi convivono un santo e un assassino, ma come lo stesso autore scrisse: «Nell’indignazione morale vibra sempre anche il timore segreto di aver forse perso qualcosa».
“Il Fiore del mio Genet – Spettacolo itinerante tra i bassifondi dell’anima”, prodotto dalla Compagnia “Il Teatro delle Bambole”, è riuscito a esprimere egregiamente la grandezza dell’autore francese, creando sulla scena la doppiezza che cova in ciascuno di noi.
Una scrittura densa e potente quella di Andrea Cramarossa, che firma anche allestimento e regia – probabilmente scomoda per i deboli di cuore: vedi la provocazione finale –, affidata a due bravi attori, Federico Gobbi e Domenico Piscopo. Una recitazione impegnativa la loro, costruita soprattutto sulla notevole fisicità e sui silenzi simbolici, che ha dato corpo alle varie anime inquiete e perdute dell’universo di Genet: marinai, assassini, ladri, prostituti e uccelli conquistatori.
Tra rievocazioni, riflessioni e tributi – con tanto di toccante altarino votivo –, svettano i momenti musicali, un equilibrio perfetto tra il soave delirio onirico e l’incubo orrorifico. Bellissime e indovinate le musiche.
(Visto al Teatro Duse di Bari)