IL MERAVIGLIOSO DESIDERIO DI ‘DARE’

di Nicola Di ceglie

Ogni mattina leggo i giornali con la speranza, non manifesta, che il mondo sia diventato migliore; ma negli ultimi tempi (diciamo negli ultimi dieci anni) quasi sempre va a finire che mi faccio il segno della croce e mi butto nella mischia sociale, per cercare di dare ordine a questo disordine disorganizzato. Però qualche volta c’è una notizia che mi procura una gioia intensa e passeggera e allora mi viene voglia di scrivere un editoriale, perché voglio condividere con voi la conoscenza e provare anche a ricevere le vostre opinioni.

Insomma il fatto è questo: a Dueville, in una azienda chiamata “Unicomm”, una signora di 40 anni si è ammalata gravemente e non ha potuto più lavorare. Finite le ferie, i permessi, i 6 mesi pagati, le domeniche, le feste locali e nazionali, la sfortunata lavoratrice (che ha da mantenere un figlio) rischiava di rimanere immobilizzata a casa, senza stipendio. Quindi il dramma si sarebbe trasformato in tragedia. Così 173 dipendenti della Unicomm hanno donato un giorno delle loro ferie e la signora avrà 2.272 ore di congedo, corrispondenti a un anno e mezzo di stipendio assicurato. (Nel frattempo il suo angelo custode si dia da fare per farle recuperare la salute).

In questa storia che moralmente vale più di 10 puntate di Montalbano, la parola chiave è “dono”. Perché sono anni che i più illustri studiosi del comportamento umano si chiedono insistentemente: Il dono esiste ancora? La domanda non è stupida. Sappiamo bene che il dono, sul quale sono state costruite tutte le società arcaiche, con l’avvento del liberismo ha fatto spazio allo scambio materiale e al calcolo. Sarà capitato anche a voi: se qualcuno vi soccorre per strada, vi aiuta a fare un trasloco, vi offre un lavoretto ecc. la prima cosa che vi viene di fare è dargli dei soldi, per sdebitarvi, per ripagarlo della sua generosità. Insomma il dono, in questa stupidissima società, invece di darci felicità ci procura sensi di colpa.

Ebbene, non deve essere così. Il dono serve anzitutto a stringere rapporti.  Lo spirito del dono è la base sulla quale va edificata una società solidale, quella nella quale avrei voluto trascorrere la mia giovinezza e che certamente non troverò nella vecchiaia.

Non prendetemi per piagnucolone. Non sono un pessimista cosmico come Leopardi. Anzi devo dire che in realtà in questo secondo millennio, non stiamo messi proprio male. La giustizia ha sostituito la carità, i diritti all’assistenza hanno sostituito l’elemosina. Ma noi tutti siamo diventati meno generosi e più egoisti.

Perciò quando ho letto che in una fabbrica del vicentino si è trovata la soluzione legale delle “ferie solidali” per aiutare una lavoratrice indifesa mi sono emozionato. In pratica le nostre leggi permettono che i lavoratori possano cedere le ferie eccedenti a colleghi (bisognosi) che hanno lo stesso datore di lavoro e che svolgono mansioni paritarie. E allora non serve il socialismo reale per creare una fabbrica più calorosa, umana e fraterna. Basta voler ancora donare qualcosa di sé, con liberalità.

Siete d’accordo, care compagni e cari compagni?

Nicola Di Ceglie