Inside Out, le emozioni a portata di pulsante

Di Dino Cassone

Di Dino Cassone

Un capolavoro. Non esiste altro termine per definire l’ultimo film, in ordine di uscita, dell’ultramegafantastica ditta Pixar, dal titolo “Inside Out” e diretto a quattro mani da Pete Docter e Ronaldo Del Carmen. Nata come costola di un’altra fabbrica di capolavori, la Disney, non abbiamo alcun dubbio a dichiarare l’abusato “allievo ha superato il maestro”. Sì perché la Pixar ha inanellato un film perfetto dietro l’altro: da “Gli Incredibili” a “Wall-E”, da “Up” a “Monster University”, e solo per citarne alcuni.

Insdie Out 2E quest’ultimo gioiello non fa eccezione. Geniale il modo di spiegare a tutti, ma proprio a tutti, il complesso universo racchiuso all’interno delle nostre scatole craniche, il cervello. La protagonista assoluta della pellicola è Riley, che seguiamo dai suoi primi vagiti fino ai dodici anni. Un’infanzia felicissima e perfetta, con due genitori esemplari, l’amica del cuore e le soddisfazioni sportive (è, infatti, una promettente giocatrice di hockey), nella casa dei sogni, nel posto dei sogni: il Minnesota. I giorni dorati della piccola Riley, però, terminano quando mamma e papà decidono di trasferirsi a San Francisco. Adattarsi alla nuova situazione non è facile e le cose precipitano, fino al classico finale riparatore.

Fin qui la trama sembra scontatissima che più non si può. Ecco allora la genialata: tutte le emozioni vissute dalla protagonista (e le nostre con lei), prendono vita fisicamente, sedute comodamente all’interno del suo cervello, trasformato in una super tecnologica “stanza dei bottoni”. Ad amministrare, e non sempre in maniera efficiente, la strategica consolle troviamo, infatti, la positiva ed energica Gioia, il burbero e rissoso Rabbia, l’incapace e timoroso Paura, la “sfigata” e sfiduciata Tristezza e l’apatica Disgusto. A loro il compito di ristabilire tutte le “connessioni” e riportare il giusto equilibrio affinché la ragazzina possa diventare un’adolescente sana, attraverso una serie di avventure rocambolesche e l’incontro di personaggi indimenticabili. Uno fra tutti, Bing Bong, amico immaginario della piccola Riley, creatura fantastica con la coda di gatto, il muso da elefante e il busto di zucchero filato. Destinato, tra le nostre lacrime, a sparire nell’oblio quando è giunta l’ora per la sua amica dei giochi di diventare grande.

La sceneggiatura è una delle cose migliori in assoluto dell’intero film, con battute spiazzanti e di una sagacia estrema, ma sempre con frasi sintatticamente semplici e immediate: «È il subconscio, dove portano tutti i piantagrane», dice Tristezza in una sequenza quando si trova assieme a Gioia in un “luogo oscuro della mente”. Oppure quando Gioia tenta di sollevare l’umore di Tristezza facendole ricordare un film divertente e lei risponde: «Ricordi quel film buffo in cui muore il cane?». E ancora quando Disgusto sceglie i vestiti per il primo giorno di scuola della protagonista: «Quando avrò finito, Riley sarà così bella che le altre ragazze guardandosi allo specchio vomiteranno!». E questo è solo un assaggio.

Altro pregio della pellicola è la fotografia: splendida la scelta dei colori, vivacissimi e brillanti, una gioia per gli occhi e per il cuore e che sintetizzano ad hoc le “sfumature emozionali”. Impossibile non lasciarsi afferrare per mano e farsi trasportare tra quei paesaggi mentali ingegnosi: le isole della personalità (quella della famiglia, dell’amicizia, dell’onestà e la spettacolare “stupidera”. Andate a vedere il film per capire); “Immagilandia”, la “Discarica dei Ricordi”, il “Treno dei Pensieri”, il “Pensiero Astratto” fino alla “Cineproduzione dei sogni”, dov’è ambientata la sequenza più bella e divertente dell’intero film. Da non perdere.

Dino Cassone