Mandela, i Forconi e Renzi

(di Nicola Di Ceglie)

Nicola Di CeglieIl mio onomastico del 2013 lo ricorderò perché San Nicola si è presentato a mani vuote e con il muso lungo. E siccome il suo umore per me è contagioso, invece di festeggiare sobriamente la santa ricorrenza mi ha costretto a un fuori programma di meditazione critica. A digiuno di dolci (meglio così) e facendo l’esercizio di ‘passo indietro’, come suggeriva Heidegger, oggi prendo la penna e provo a fissare su un foglio bianco il significato e il valore delle nostre tre ultime esperienze condivise.
Il vuoto delle mani del mio santo protettore ha rappresentato ‘qualcosa che non c’è più’. Ma che cosa non c’è più? Dal 5 dicembre non c’è più Nelson Mandela, un nero con la faccia dell’attore cinematografico che alzando il pugno chiuso (e non la voce) ha liberato un popolo intero di schiavizzati. La sua storia la sanno tutti. Ora che ha oltrepassato la soglia del cielo a noi ci rimarrà quel che ha dimostrato attraverso le sue gesta eroiche. Sarebbe bello poter andare a portare un fiore sulla sua tomba, alzando la mano come faceva lui, in quel villaggio sperduto che da oggi sarà indicato in tutte le carte geografiche.
‘Qualcosa che non c’è più’ è il rimpianto del vecchio Partito Comunista. Quasi 3 milioni cittadini hanno votato per il nuovo Partito Democratico, dando 2 milioni di voti a un giovane che non ha nessuna tradizione marxista e tantomeno leninista. La nomenklatura è stata messa in un angolo. Renzi e la sua segreteria saranno capaci di prosciugare il chiacchiericcio che negli ultimi anni ha ingannato anche gli elettori di sinistra? Renzi e i suoi saranno in grado di costringere il debole Parlamento ad approvare una dignitosa legge elettorale? I nuovi dirigenti saranno tanto forti da salvare una economia inerte, distorta e ultimamente perfino micidiale? Il Partito nuovo potrà ingrandire la giustizia e rimpicciolire lo sfruttamento, collaborando con i sindacati e le forze più sane della nazione? La segreteria di Renzi ha un’età media di 36 anni. Noi invitiamo queste forze emergenti a rompere le vecchie recinzioni e ad abbattere gli insopportabili privilegi. A Renzi chiederemo di farci tornare ad amare il mondo naturale, a salvare la cultura e le arti, a redistribuire il reddito in modo che i diversi ceti sociali possano convivere in armonia e senza temere di vivere una vita insignificante. Infine, San Nicola aveva il muso lungo per la violenza degli scontri tra dimostranti e forze dell’ordine. Il movimento dei ‘Forconi’ è il segno di una crisi profondissima. I proletari e i sottoproletari si sentono abbandonati, assediano i palazzi del potere e i poliziotti solidarizzano con i rivoltosi, togliendosi il casco militare. Gli autotrasportatori che hanno ripreso a bloccare le strade non sono un manipolo di sciagurati, ma gli avanposti di un movimento dal basso che non ha paura dello scontro fisico.
Io ho scelto nella mia vita di fare il sindacalista perché credo nella libertà di pensiero, credo nella conversione del negativo in positivo e ho sempre davanti agli occhi i poveri, i disoccupati, le famiglie che questo Natale non saranno serene come meriterebbero. Ho finito l’inchiostro. Cosa avevano in comune Mandela, Renzi e i ruvidi rappresentanti dei Forconi che mi hanno spinto a scrivere questo breve messaggio? Hanno la ‘Lottità’, la voglia di lottare per difendere i diritti individuali e collettivi. Scusate il neologismo. Serve a spiegare con più immediatezza il concetto. San Nicola era dotato di ragione, parlava poco e all’occorrenza menava le mani. Questo raccontano i suoi biografi. Credo che Mandela, Renzi e i disperati militanti con i Forconi puntati al cielo abbiano avuto una sua silenziosa attestazione di simpatia. E io mi atterrò alle indicazioni del Vescovo di Myra. Nomen omen, diceva non so chi in epoca romana.

Nicola Di Ceglie