Non c’è più religione, regia di Luca Miniero, Italia, 2016

di Francesco Monteleone

Arriva il Natale e tutti i registi italiani che vogliono fare incassi sicuri buttano nelle sale una serie di lungometraggi preparati in estate che devono piacere alla massa ridanciana al primo assaggio, come i panettoni e lo spumante dolce

I soggetti non sono mai molto originali: storie di corna etero, qualche avventura gay, dissipazione della ricchezza, ultimamente qualche sconveniente conflitto razziale. Gli attori selezionati, preferibilmente comici, sono quelli che hanno avuto un buon successo televisivo, le battute sono sempre le stesse (doppi sensi sessuali, espressioni dialettali milanesi, romane o napoletane con qualche digressione pugliese. Le gag hanno come colonna sonora sgradevoli rumori corporali, sovente rifanno scenette viste nel mondo web e le location danno molto di cambio merce tra produttori e fornitori.

Perciò dal 1° dicembre bisogna stare molto attenti ai titoli in sala e saper boicottare i furbacchioni.

Questo film è una delle peggiori proposte degli ultimi anni, perché banalizza e ridicolizza l’uso delle diverse fedi religiose (buddista, cattolica, musulmana) e costringe gli attori a mimare una simpatia che non ottengono quasi per niente.

Purtroppo il regista Miniero ancora una volta non è riuscito a ripetere il successo di “Benvenuti al sud” ( è bene ricordare che quella fantastica commedia non fu farina del suo sacco) e ha approvato una sceneggiatura scritta a 6 mani che irrita la mente dello spettatore in ogni sequenza, dall’ inizio melmoso al finale penoso.

Il film è stato girato alle Isole Tremiti per avere i denari della Apulia Film Commission che ultimamente sta dando segni di squilibrio intellettuale. Finanziare queste operette non porta giovamento a nessuno luogo e a nessuna economia. Il marketing territoriale è un servizio che deve far superare favorevolmente i pregiudizi e le abitudini consolidate dei turisti migliori e non basta fare 5 o 6 panoramiche o qualche campo lungo sulle bellezze naturali per convincerli.

Dentro questo ciambotto c’è di tutto: l’idea di una natività interetnica che è già stata perfettamente utilizzata dagli evangelisti di Cristo, quindi sembra il tentativo maldestro adattarla a questi tempi balordi.

C’è un patetico riferimento a Lucio Dalla che se resuscitasse si rifugerebbe nella Foresta Umbra per non cantare. C’è una comunità di musulmani che si fa guidare da un impostore, il quale non sa parlare e pregare in nessuna lingua araba o medio-orientale.

Eppoi, per fare ridere non bastano le gimkane con il 3 ruote, la figlia del sindaco che si fa ingravidare da un cinese, un vescovo rincretinito e raggirato da un gruppo di improvvisati esegeti del nuovo Testamento, una suora che prende il voto di castità dopo un unico bacio asciutto nel suo miglior periodo di impeto ormonale.

Basta così, anzi no. La recitazione di Angela Finocchiaro è una pappagallata inconsistente, Claudio Bisio, rinunciando alla sua gradevole intensità drammatica, ha la faccia che sembra una carriola con dentro tutte le espressioni avanzate da Zelig. Alessandro Gassmann si è dato le dimensioni lillipuziane rispetto a suo padre e nessuna ragazza riesce a essere più conturbante di Valentina Lodovini. L’unica cosa azzeccata in tutto il film è che su quelle meravigliose isole pugliesi manca un presidio sanitario e sarebbe cosa giusta garantirlo ai residenti.

My Movies giudica con un ‘assolutamente no’ questa commediola fuor di posto. Condividiamo. A Natale sarebbe meglio recuperare la spiritualità, piuttosto che ingannare i cattolici più creduloni che sono già in procinto di rovinarsi anima e corpo.

Francesco Monteleone