Paolo Morando racconta gli anni ’80, “il decennio da bere”

Di Dino Cassone

Di Dino Cassone

Un’impresa quasi titanica quella del giornalista trentino Paolo Morando, che nel suo “’80 – L’inizio della barbarie” (Editori Laterza), in sole 220 pagine (esclusi ringraziamenti e indice), ha racchiuso i 3652 giorni di uno dei decenni più trash della storia e dove incontrastato è stato il trionfo del pop”. Tantissime le definizioni appioppate da Morando a questo periodo, croce degli storici e delizia dei nostalgici, tra queste la più folgorante è «un impero di pura immagine». «Provare per credere»: chi c’era non può che confermare.

Morando 2«È lunedì 5 luglio 1982, quando l’Italia gioca la partita impossibile contro il Brasile di Zico e Sócrates, Falcão e Cerezo, Ĕder e Junior. Con il redivivo Paolo Rossi che buca per tre volte Valdir Peres, portandoci in semifinale, dove ne farà altri due alla Polonia. Poi il sigillo del Bernabeu: Rossi, Tardelli, Altobelli, campioni del mondo e tutta l’Italia in strada, come per l’arrivo degli alleati. Quasi una seconda liberazione». Già, come se la storia della nostra travagliata penisola si sia fermata lì.

Nelle primissime pagine l’autore stampa indelebile negli occhi di chi lo legge il manifesto-guida del suo “manuale distruzione”, sì perché appare chiara la sua intenzione di demolire, attraverso un’analisi profonda, dettagliata e mai banale, tutto quello che “avreste voluto non sapere degli anni ’80 e che non avete voluto il coraggio di ricordare”. Perché quelli non sono stati solo gli anni della facile evasione, dei “Paninari” e del loro look da futuri “bamboccioni”, degli “Yuppie” rampanti, dei film soft con la Fenech e Banfi, dell’eterna lotta all’ultimo disco tra i Duran Duran e gli Spandau Ballet. Anzi. Sono stati gli anni dell’inizio della decadenza culturale che si è trascinata fino ai giorni nostri: una spietata legge del contrappasso che vede gli ex adolescenti che allora sognavano le tettone del “Drive In”, generare figlie che sognano di fare le “veline” e figli che agognano a diventare “tronisiti” o entrare nel fantastico mondo del “Grande Fratello” per esibire fisici scolpiti e cervelli che rimbombano per il vuoto cosmico che contengono.    

È un’Italia “narcotizzata” quella che descrive Morando, con uno stile acuto e sempre scorrevole, regalandoci pagine ricche di avvenimenti, di ricordi, di citazioni. Come quella di Edmondo Berselli, che riferendosi all’Italia scrisse: «una volta chiusi i cupi ’70 gira voluttuosamente pagina, ritrovandosi disinibita prima ancora di essere evoluta». Un decennio tremendo durante il quale l’Italia ha covato tutto il marciume che domina incontrastato questo scorcio di XXI secolo: l’eruzione dell’Etna, alla fine del marzo 1983, diventa lo spunto per la nascita delle varie “leghe” del Nord e l’inizio di un sentimento razziale prima verso i “terroni-fratelli”, poi verso i “terroni dell’universo mondo”. A questo proposito impressionanti le pagine dedicate alla chiusura di “Radio Radicale” e a tutto quello che ne è derivato; la politica “magnacciona” dove tutto è sempre stato uguale a com’è adesso: politici che sono più personaggi televisivi, e oggi come allora con “Porta a Porta”: la terza camera del Parlamento”; il sesso: allora Ilona “Cicciolina” Staller onorevole, oggi le “olgettine” e le “nipotine” (gustosissime le pagine del capitolo dedicate ai film-scandalo di quegli anni, da “La chiave” di Brass a “L’ultima tentazione di Cristo” di Scorsese, passando da “Je vous salue Marie” di Godard); ieri il nonnismo e l’Aids che portarono al suicidio di tantissimi disperati, oggi la perdita del lavoro, dei soldi e della dignità umana.

«C’è forse differenza tra le solitudini dell’estate ’86 e quelle del XXI secolo con gli occhi sbarrati davanti agli schermi di tablet e telefonini? E i commenti sui siti dei quotidiani in calce alle notizie anche più banali, sempre e comunque spunto per derive altrettanto becere?». Un riferimento tout court all’immenso Eco e la sua teoria degli ignoranti che dominano i Social media. Nessuna differenza quindi, e questo è desolante ma reale.

Dino Cassone