Siamo tutti un po’ “Randagio”

Di Dino Cassone

Il teatro sociale ha il dovere di stuzzicare le coscienze degli spettatori, indurli alla riflessione trasmettendo emozioni che lasciano un retrogusto amarognolo. Obiettivo, questo, raggiunto dallo spettacolo “Randagio”, una produzione Folletti e Folli/Teatro dell’Altopiano con la regia di Dario Lacitignola, anche interprete assieme ad Angelica Schiavone. A curare le luci e i suoni, l’attore in erba Davide Semeraro. “Randagio” è tratto dall’omonimo racconto di Daniela Luisa Bonalume pubblicato di recente da Edizioni Progetto Cultura nella collana scena muta.

Il protagonista è un clochard, Randagio, di nome e di fatto. Vive qui e là in un paesino di periferia alle porte di una metropoli: potrebbe essere dappertutto, non ha importanza la connotazione geografica. Quarant’anni e quattro profondissime rughe sul viso, «una per ogni decennio»; è un tipo tosto Randagio, combattivo, orgoglioso, intelligente. E puzza, naturalmente. Ma tra quelle rughe profonde il vero marciume che si annida è quello della vita, che a lui ha regalato veramente poco. In quel poco, un barlume di sentimento, un debole per Ana, barbona come e più di lui: bellissimi occhi azzurri e un’età indefinibile. Lei non è come le altre, «Sa il fatto suo. È colta e non si fa fregare, la sua anima non la dà neppure al diavolo, perché nemmeno il diavolo le può restituire ciò che le è stato tolto».      

Uno spettacolo teatrale – che vi consigliamo assolutamente – breve ma serrato, durante il quale viene raccontata una piccola fetta dell’esistenza dei due personaggi. La narrazione però rivela molto più di quello che in realtà dice: storie di violenza e non solo quella psicologica, di sfruttamento sul lavoro, di solitudine e di disperazione. Di emarginazione, anche se è «l’intermittenza che ti rende fragile, perché ti fa abbassare le difese. E con le difese abbassate sei morto, sia dentro che fuori dalla società». Un insegnamento illuminante, per tutti noi. E allora non resta che indossare una maschera, «e anche tu diventi un emarginato. Sì. Da te stesso».    

Dino Cassone