STAINONDA – spegni la precarità!

logoslccgil

Oggi ho partecipato alla bella iniziativa promossa dalla Slc Cgil e dalla fondazione Bruno Trentin “Staionda, una ricerca sul lavoro a termine, autonomo, precario nelle radio e TV. Questa iniziativa è solo l’ultima, in ordine di tempo, che Slc ha intrapreso per comprendere quale tipo di risposte si possono dare a questo insieme del mondo del lavoro che troviamo in larghissima parte nei settori della Produzione Culturale, nell’Editoria, nell’Emittenza, nelle Tlc e in modo marginale nei Servizi Postali. Da quanto emerge dall’indagine sull’Emittenza, bisognerà provvedere in maniera analoga a quanto sperimentato positivamente negli altri settori, occorre anche qui un impianto legislativo a sostegno del lavoro intermittente e discontinuo, bisogna superare il precariato, attraverso filiere produttive costituite da lavoro “standard” e da lavoro “flessibile”, ma non per questo “precario”, poiché tutelato a livello previdenziale,
assistenziale, economico e normativo. Penso che sempre più, la Slc debba sperimentare forme nuove di tipo inclusivo comprendenti tutti quei lavoratori che oggi si sentono emarginati e non rappresentati dal Sindacato, sono una scommessa che ci deve vedere impegnati tutti e che sono sicuro vinceremo.

 

Segretario Generale
Nicola di Ceglie


 

SINTESI DELLA RICERCA

STAINONDA. SPEGNI LA PRECARIETA’

Una ricerca sul lavoro a termine, autonomo, discontinuo, precario…nelle radio e TV

 

Rapporto, Slides e infografica qui: http://bit.ly/1uXV2W7

 

Il Sindacato del Lavoratori della Comunicazione SLC-CGIL insieme all’Associazione Bruno Trentin ha deciso di promuovere una ricerca rivolta a lavoratrici e lavoratori del settore radio televisivo, al fine di approfondire la conoscenza delle loro condizioni e bisogni e favorire dunque la creazione di un percorso partecipativo di azione sindacale.
L’indagine è stata focalizzata principalmente sui lavoratori con contratti a termine (subordinati, parasubordinati e autonomi), operanti in “aziende-leader” e in appalto.
Oltre 500 lavoratori hanno risposto ad un questionario on-line, composto di 61 domande. Il questionario ha indagato: la situazione sociale dell’intervistato (età, genere, nazionalità, residenza, titolo di studio), la condizione economica, la situazione contrattuale e professionale (tipologia contrattuale, professione svolta, tipo di committenza, presenza di lavoro nero e irregolare), le condizioni di lavoro (giornate lavorate, periodi di disoccupazione, ritmi e carico di lavoro, modalità di lavoro), le condizioni di salute fisica e psicologica, le relazioni sociali nel luogo di lavoro, il ruolo delle competenze e della formazione, la percezione che l’intervistato ha del proprio lavoro, le opportunità che ha di contrattare le proprie condizioni, i suoi bisogni e le aspettative. Il questionario è stato on-line 5 mesi (da Ottobre 2013 a Febbraio 2014).
Il campione della ricerca è composto per il 68% da uomini, evidenziando una presenza soprattutto maschile tra i lavoratori indipendenti, discontinui e precari che hanno voluto partecipare alla ricerca. Le tipologie professionali dei rispondenti hanno una chiara connotazione di genere: gli uomini si distribuiscono soprattutto tra tecnici operatori (84%) e la presenza femminile va dal 40% tra le maestranze fino al 46% dei tecnici post-produzione.
Tra i rispondenti, l’80% lavora per produzioni televisive, e il 13% per produzioni web.
Anche la distribuzione per classi di età contribuisce a descrivere chiaramente la specificità del campione: forme contrattuali discontinue e a termine riguardano i lavoratori e le lavoratrici di tutte le fasce d’età. L’età media tra i rispondenti è di 40 anni. I rispondenti tra i 41 e 50 anni sono il 26%, quelli tra i 31-35 anni il 24%, tra i 36 e i 40 anni il 22%. Le code della distribuzione raccolgono il 14 per cento degli over 50 e il 13% degli under 30.
Un rispondente su due ha un’esperienza di lavoro in questo settore che va dai 6 ai 15 anni, il 23% tra i 16 e i 25 anni di esperienza, mentre le code della distribuzione – chi ha meno di 5 o più di 26 anni di esperienza – sono il 14% dei casi.
Il 44% dei rispondenti è in possesso di una laurea ed il 40% della licenza media superiore. Solo il 14% accede a questo tipo di lavoro con un titolo di qualifica professionale.
Sono soprattutto Roma e Milano, dove si trovano le grandi produzioni televisive, le città in cui risiedono i rispondenti al questionario.
La discontinuità e la temporaneità contrattuale condizionano le scelte di vita individuali dei lavoratori del settore radiotelevisivo. Oltre la metà non è sposato/a e non convive (52%), condizione che invece riguarda il 40% dei rispondenti. Anche l’assenza di figli riguarda una larga parte del campione (68%), uno su cinque ha un solo figlio e l’11% ne ha due, mentre solo lo 0,8% ne ha tre o più.
Il settore si caratterizza per una grande diversificazione delle forme contrattuali impiegate. Un rispondente su tre (32%) è unlavoratore autonomo; il lavoro a chiamata coinvolge un rispondente su quattro (25,5%); i lavoratori parasubordinati (con contratto a progetto, collaborazione occasionale e lavoro accessorio) sono il 13%. I lavoratori subordinati sono il 21% (per la maggior parte a tempo determinato, seguiti da una quota consistente di dipendenti a tempo indeterminato).
La tipologia contrattuale è connotata, in parte, dal genere: il lavoro a chiamata è prevalente tra gli uomini e il lavoro autonomo e la parasubordinazione sono prevalenti tra le donne.
La condizione di “lavoro a termine” è considerata come una condizione strutturale del settore per la maggior parte dei rispondenti.
I rispondenti al questionario coprono numerose tipologie professionali:
tecnici e operatori (32,8%), come gli operatori di ripresa, i tecnici audio e video, i fonici, i microfonisti, RVM;
maestranze (8,1%), come gli artigiani, costumisti, decoratori, assistenti di studio;
produzione e organizzazione (11,8%), come gli impiegati, producer, ispettori e segretari di produzione, amministratori, traffic manager;
tecnici di post-produzione (9,9%), come i montatori, grafici, editor;
lavoratori dell’area editoriale e creativa (37,4%), come gli autori, sceneggiatori, collaboratori per la scrittura dei testi, assistenti alla regia, redattori, attori, fotografi, casting director (quest’area include anche i pochissimi giornalisti che hanno risposto al questionario).
Circa la metà delle donne intervistate lavora nell’area editoriale e creativa e più degli uomini sono impiegate come tecnici di post-produzione, gli uomini invece per il 42% sono tecnici-operatori e quasi uno su tre (31,6%) è impiegato nell’area editoriale e creativa.
Sono utilizzate numerose forme contrattuali diverse per svolgere la stessa tipologia professionale.  La condizione più diffusa è quella della pluricommitenza, ma anche la monocommitenza espone a situazioni di lavoro precarie.
Il 41% dei rispondenti  è stato assunto per più di 180 giornate, dunque ha coperto contrattualmente un periodo abbastanza lungo, anche se il campione è variegato e il lavoro discontinuo o che non riesce a coprire l’annualità è un problema diffuso: uno su tre ha lavorato per meno di 90 giorni (34%).
La durata media dei contratti è molto variegata: un lavoratore su quattro sigla contratti che durano meno di 5 giornate e una stessa quota di lavoratori sigla invece contratti che durano più di 180 giornate, per gli altri la durata dei contratti varia molto tra questi due estremi. La frammentazione dei contratti è determinata più dalla tipologia professionale che dal tipo di rapporto di lavoro.
Il lavoro è fortemente discontinuo e la disoccupazione è un problema diffuso. Nel 2013, per il 43% dei rispondenti il periodo massimo di disoccupazione è durato tra i 31 e i 90 giorni, quasi uno su quattro (24%) ha dichiarato di essere stato disoccupato per più di tre mesi e solo il 10% dichiara di avere lavorato senza nessuna interruzione.
La crisi ha avuto un impatto fortemente negativo sulla vita dei lavoratori e per la metà di loro la condizione lavorativa è peggiorata negli ultimi anni (50%).
Il settore si caratterizza per un forte carico di lavoro: la metà dei rispondenti supera le 40 ore di lavoro settimanali.  Le maestranze, i lavoratori dell’area editoriale/creativa e quelli della produzione/organizzazione sono i lavoratori che più superano le 40 ore di lavoro settimanali, mentre i tecnici/operatori sono quelli che più lavorano in part-time con un orario ridotto.
Il settore radio-TV è caratterizzato da un processo produttivo complesso nel quale il lavoratore mette a servizio le proprie competenze ma, nella maggior parte dei casi, non è proprietario degli strumenti di lavoro (spesso molto costosi), non ha voce (o ne ha poca) sulla programmazione del lavoro che è definita dall’imporsi degli eventi e dalla dirigenza, e di conseguenza non ha l’opportunità di programmare dei tempi di lavoro in maniera ben strutturata. Allo stesso modo, spesso, non ha un luogo “abituale” di lavoro e dunque deve spostarsi secondo le esigenze della produzione.
Le dure condizioni di lavoro si traducono in difficili condizioni di salute per la maggior parte dei lavoratori: più della metà del campione (54%) dichiara di soffrire di più di tre problemi fisici.
Il settore si caratterizza, secondo i rispondenti, per un’assenza di prospettive individuali sia considerando le prospettive di carriera (poche o nessuna per l’80% dei rispondenti) sia considerando le opportunità per una pensione adeguata (poche o nessuna per quasi tutti: il 95,5%).
Le opportunità di conciliare il lavoro con la vita famigliare sono per lo più nulle (per il 23,5% dei rispondenti) o scarse (47%) e questo va al di là delle distinzioni contrattuali, professionali e di genere.
La flessibilità nell’accettare le condizioni di lavoro proposte e i contatti tra conoscenti nello stesso settore sono considerati i fattori più rilevanti per trovare lavoro in questo settore (rispettivamente nel 96% e 83% dei casi).
Oltre il 70% dei rispondenti non ha mai svolto una formazione professionale, mentre il 16% l’ha sostenuta a proprie spese e solo il 6% dichiara di aver usufruito della formazione professionale pagata dall’azienda.
Gli stipendi sono bassi e ci sono numerosi ritardi nei pagamenti.
La maggior parte (il 38%) ha un reddito inferiore ai 10.000 euro l’anno e solo uno su quattro (26%) supera i 20.000 euro l’anno. Dunque, il rischio di “lavorare ed essere povero” appare come un problema ampiamente diffuso.
I lavoratori parasubordinati e a chiamata sono quelli che hanno gli stipendi più bassi (la metà circa in questi gruppi contrattuali prende meno di 10.000 euro all’anno) mentre i lavoratori subordinati e gli autonomi hanno, in confronto, degli stipendi più alti (circa il 54% di entrambi i gruppi prende più di 15.000 euro l’anno).
Il 67,5% vuole avere una maggiore continuità occupazionale con più tutele
Il 20;5% vuole avere un lavoro stabile a tempo indeterminato
Il 12% punta ad un compenso più elevato.
Pur in un rapporto non semplice tra i lavoratori e il sindacato, anche perché i lavoratori hanno paura e sono ricattabili,  i rispondenti indicano come priorità , per il 29% garantire maggiori diritti e tutele per i lavoratori autonomi, per il 28% trasformare i contratti precari in contratti stabili,  per il 25% dare una continuità occupazionale a chi ha un lavoro temporaneo.

ROMA    11 Novembre 2014

Slc Cgil Puglia