“Due vite, una svolta”, in altre parole l’eterna rivalità nella danza

Di Dino Cassone

 

La danza è tanto sacrificio, dure giornate di faticosi e dolorosi esercizi, d’interminabili prove e di tanta, tantissima invidia e competizione. L’hanno lasciato immaginare i danzatori più celebri della storia e l’hanno raccontato – spesso in maniera spietata e senza veli – molti bei film, da “A Chorus Line” (tratto dal pluripremiato musical omonimo) diretto da Attenborough al più recente “Cigno nero” di Aronofsky.

Dal patrimonio cinematografico di tutti i tempi, vogliamo però tirare fuori un film datato 1977 dal titolo “Due vite, una svolta” firmato da Herbert Ross con due icone della recitazione, Shirley MacLaine e Anne Bancroft, che qui, va detto, batte 10 a 1 la sua collega per intensità interpretativa.

Due intime amiche, entrambe ballerine di successo, e per questo, rivali. Si rincontrano a New York dopo lungo tempo: una DeeDee (MacLaine) che ha dovuto rinunciare alla carriera perché incinta, spostata col primo ballerino più desiderato di tutti e con tre figli, di cui la maggiore e il più piccolo con la stessa passione per la danza; l’altra, Emma (Bancroft, ruolo che era stato pensato per Audrey Hepburn che invece rifiutò), che invece ha scelto la carriera e la solitudine, ormai verso il tramonto della sua carriera ma ancora adorata dal pubblico. Inevitabilmente tra le due riaffioreranno vecchie ruggini e rospi mai mandati giù, nella scena più bella ed emozionante di tutto il film, dove le due incredibili attrici si trasformeranno in due arpie senza limiti e verranno pure alle mani. Preparate i fazzoletti, se non lo avete ancora visto.

Il titolo originale del film è, come sempre, il più appropriato “The turning point”, si riferisce proprio ad un passo di danza, la pirouette. Vi recitano molti ballerini professionisti, tra comparse e ruoli primari, presi in prestito dal prestigioso American Ballet Theatre. Su tutti, l’immenso Michail Baryshnikov e la leggiadra Leslie Browne, all’epoca primi ballerini del corpo di ballo, di cui lo stesso regista era stato coreografo anni addietro; inoltre sua moglie, Nora Kaye era stata prima ballerina. Sembra che la storia sulla rivalità tra le due protagoniste sia stata ispirata da quella tra la stessa Kaye e la madre della Browne, Isabel.  

Molto spazio è dato ai bellissimi numeri di danza, uno spettacolo nello spettacolo e sullo spettacolo; un vero e proprio tributo ai coreografi più famosi di tutti i tempi, da Blasis a Balanchine passando per Petipa e alle musiche immortali di Čajkovskij, di Charles Adam e di Minkus, solo per citarne alcuni. Chiudiamo con una curiosità: il film ebbe ben 11 nomination agli Oscar ma non ne vinse neppure uno. Lo stesso record negativo che fu eguagliato nel 1986 da un altro film-capolavoro, “Il colore viola” di Steven Spielberg.  

Dino Cassone