“Mustang” un’opera prima di razza

Di Dino Cassone

Di Dino Cassone

Mentre scorrono le prime immagini non si può non pensare all’inquietante “Il giardino delle vergini suicide” di Sofia Coppola. Anche in quel caso un’opera prima, come questo “Mustang”, piccolo capolavoro firmato da Deniz Gamze Ergüven, attrice di origini turche. La pellicola, che batte bandiera francese, è entrata a pieno titolo nella short-list dei nove film che si contenderà l’oscar come miglior film straniero il prossimo 21 febbraio. Non sarà difficile entrare nella cinquina finale, perché il film è un concentrato di delicata denuncia sulla condizione delle donne in Turchia (dove la storia si svolge) che potrebbe però essere estesa in molte zone del mappamondo. Senza mai cadere nel retorico manicheismo.

Mustang-770x439_cCinque sorelle dalle bellissime chiome fluenti, Ece (Elit Işcan), Lale (Güneş Nezihe Şensoy), Selma (Tuğba Sunguroğlu), Sonay (Ilayda Akdoğan) e Nur (Doğa Zeynep Doğuşlu), orfane di entrambi i genitori, vivono con la nonna e lo zio (iperprotettivi) in un villaggio sulla costa del Mar Nero. Cinque “mustang”, cioè cavalli selvaggi, da proteggere e salvaguardare in tutta la loro purezza. Perché femmine. Quando però per festeggiare la fine dell’anno scolastico, le ragazzine si concedono un momento di gioco con i loro coetanei ecco che esplode lo scandalo: sono costrette prima a un’imbarazzante visita ginecologia per appurare la verginità non violata, poi vengono rinchiuse in casa. Che diventa una prigione nel senso stretto della parola: porte e finestre vengono sigillate con inferriate, in quello che una delle stesse protagoniste definisce «fabbrica di casalinghe di massima sicurezza». Per salvare l’onore, le cinque ragazze (di una bellezza che buca lo schermo) diventano così, come da tradizione, le pretendenti ideali, senza possibilità di rifiuto, di mariti scelti solo sulla base dello status economico. Domare i cinque cavalli selvaggi, però, sarà davvero dura, con conseguenze non sempre piacevoli.

A raccontare il tutto, in chiave poetica e deliziosamente cinematografica, è la più piccola delle sorelle, Lale, non a caso il più maschiaccio delle cinque. Anche se trasuda in ogni sequenza la felice mano femminile della regista. Quello che ne viene fuori è un disperato desiderio di libertà, rappresentata dalla fuga a Istanbul, e di emancipazione, esattamente quello che la nonna non ha potuto o voluto fare, vittima dell’arretratezza della società e della cultura maschilista e autoritaria del figlio-padrone.

La cosa più bella del film è proprio la sceneggiatura, scritta a quattro mani dalla stessa regista e da Alice Winocour. Irreprensibile la descrizione delle ragazze, ciascuna con la sua personalità e psicologia e la leggerezza usata per denunciare i soprusi delle donne in una società ancora troppo dominata dall’integralismo.

Durante queste feste, se non sapete “Quo vado”, andate a cercarvi, seppure col lanternino, una piccola sala cinematografica dove proiettano “Mustang” e fate un regalo al vostro cervello.

Dino Cassone